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Nell’opinione comune, tutti i diritti costituzionali sono fondamentali. Nella sostanza c’è del vero, nella forma non è così. C’è un solo diritto al quale la Costituzione attribuisce l’aggettivo fondamentale ed è quello alla salute. «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività» : così recita l’articolo 32 della Carta. La salute costituisce quindi il fondamento, la base dei diritti dell’individuo. E’ un diritto non negoziabile e nemmeno bilanciabile con altri diritti. Prevale sempre, in virtù del suo essere fondamentale. Riflettere oggi sulla lettera e lo spirito della norma costituzionale può essere utile per capire il senso di quello che sta accadendo al tempo del Coronavirus, nonché i provvedimenti che si stanno assumendo per cercare di fermare l’epidemia. La qualificazione del diritto alla salute solo come diritto sociale ha forse appannato il suo essere diritto fondamentale, perché lo ha riferito prevalentemente alla prestazione pubblica sanitaria che deve essere garantita dallo Stato, salvo poi demandare alle Regioni alcune competenze esercitate in maniera poco virtuosa. Si è privilegiato l’aspetto organizzativo amministrativo piuttosto che l’effettiva tutela della salute da garantire comunque e ovunque ai cittadini. Ciò è avvenuto riducendo il personale medico, impoverendo le risorse per la ricerca scientifica medica, sopprimendo i presidi sanitari nelle piccole realtà locali.
Per tutelare il diritto fondamentale alla salute, la Repubblica, nelle sue articolazioni territoriali, ha il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono lo svolgimento di una sicura e corretta azione sanitaria in favore e nell’interesse della collettività. Così come ha il compito di promuovere qualunque intervento che serva ad assicurare il funzionamento di un Servizio nazionale di assistenza sanitaria a tutela dei malati. Sembrano affermazioni scontate, ma che oggi è bene riaffermare.
Una vicenda come questa dell’epidemia da Coronavirus ci sta facendo prendere consapevolezza del valore e dell’effettività del diritto fondamentale alla salute. Lo esercitiamo nello rimanere in casa, nell’interesse della collettività; lo invochiamo nei provvedimenti normativi emergenziali, a tutela della salute pubblica; lo vogliamo che si manifesti negli ospedali e presidi sanitari, impegnati a garantire assistenza e cure per i colpiti dal virus; lo rivendichiamo per la salvaguardia del nostro stato di salute, che vorremmo meno esposto alle vulnerabilità epidemiche.
Per dare effettività al diritto alla salute dell’individuo e della collettività, in una situazione di emergenza come quella che stiamo vivendo, deve essere consentito, dalla legge, obbligare al trattamento sanitario dell’utilizzo del tampone per tutti: per prevenire e per curare. Lo prevede la Costituzione al secondo comma dell’articolo 32, laddove nel vietare il trattamento sanitario obbligatorio ( Tso) consente di derogare attraverso una disposizione di legge. La quale, come specifica il finale del comma prima citato, “non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Che si traduce nella dignità, come valore ultimo e fondante della persona, come clausola che ne riassume le caratteristiche e le qualità. E che nel caso concreto vuol dire che i limiti da non superare sono quelli che attengono alla riservatezza del dato personale sanitario, ovvero nel non rendere pubblici i risultati dello screening dei tamponi. Quindi di non divulgare l’esito degli accertamenti sanitari, per evitare che un soggetto positivo al virus possa essere ritenuto un untore da mettere alla gogna pubblica.
Ci vuole pertanto un occhiuto controllo da parte delle autorità per impedire la circolazione di dati sanitari sensibilissimi, la cui diffusione andrebbe a ledere la dignità della persona con il rischio di manifestare una discriminazione sociale. Lo Stato di diritto nel tempo del coronavirus è messo a dura prova, ma è proprio in queste situazioni che si misura la sua forza. Che la sta esercitando con fermezza e rigore, a tutela dell’individuo e nell’interesse della collettività. C’è da sperare, allora, che da questa drammatica esperienza possa nascere un nuovo modo di vivere lo Stato di diritto e dei diritti.