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Il telefono è rovente da stamattina.
Prima di uscire per un incontro di lavoro in cui decidere le nuove iniziative della Fondazione, saluto mia figlia. Lei non sa bene perché sono così tra le nuvole oggi. Non sa cosa significhi esattamente per noi la notizia di una svolta cruciale nel lavoro dei magistrati per stabilire la verità sull’uccisione del nonno.
Sa che oggi la mamma è sorridente e vorrebbe continuare a stringerla forte e giocare con lei a “facciamo finta” per tutto il giorno.
Mentre vado al mio appuntamento ci penso.
E gioco anche io a “facciamo finta”. Facciamo finta che davvero ci siano gli elementi per un nuovo processo Scopelliti. Facciamo finta di arrivare finalmente ad ottenere quella verità e quella giustizia che da anni chiediamo e per cui i magistrati lavorano con tenacia senza mai vacillare.
Ma verità e giustizia per chi. Per noi? Certo. Ma non solo per noi.
Verità e giustizia per i calabresi. Per il Paese. Perché papà non è mai stato solo nostro.
Papà è patrimonio di questo Paese. Un Paese per cui ha dato la vita e che ha difeso tutelando i più deboli, garantendo giustizia ai giusti con la passione e l’umiltà di chi sapeva di non essere infallibile.
Non era un magistrato mediatico, schivava le telecamere, rispettava vittime e imputati senza mai ergersi a censore. Era temuto per la sua conoscenza del diritto. Perché ogni tesi che portava era suffragata da argomenti spesso inoppugnabili.
Combatteva con le silenziose armi della conoscenza e dell’etica. E per quello è stato ucciso.
Ucciso dopo aver rifiutato una cifra immensa. Ucciso per aver fatto il suo lavoro con la competenza che lo contraddistingueva. Ucciso lasciando a noi, a me bambina, un insegnamento difficile da comprendere pienamente: il rispetto per la propria dignità. Una dignità che non è in vendita.
E allora sì, facciamo finta che la vicenda Scopelliti troverà una fine giusta. Facciamo finta che un domani potrò finalmente raccontare alla mia bambina perché il nonno è stato ucciso.
Perché oggi non può abbracciarlo e farsi raccontare da lui la storia della buonanotte e perché questa battaglia di verità, che spesso mi porta lontano da lei per giorni, appartiene non solo a noi, ma a tutto il Paese. Perché attraverso questa verità passa il riscatto di una terra che non è quella degli assassini di Antonino Scopelliti, ma quella che non ha mai smesso di fare memoria. Di impegnarsi. Di credere, orgogliosamente, che dal sacrificio delle nostre vittime può nascere qualcosa di buono.
Con la Fondazione lavoriamo per questo da anni con iniziative mirate non solo alla memoria, ma anche a garantire la possibilità ai nostri giovani di investire in un territorio che, è bene che lo capiscano, appartiene a loro e non alla 'ndrangheta.
E allora, senza fare finta, è questo quello che vorrei nascesse dalla verità sull’omicidio Scopelliti.
Questo è ciò che avrebbe voluto papà. Per la sua terra. Per i calabresi che amava e in cui non ha mai smesso di credere.