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«Sono doppiamente soddisfatto: per la conferma dell’assoluzione e la condanna alle spese delle parti civili, accanite contro di me». Filippo Penati, ex presidente della Provincia di Milano e vicepresidente del consiglio regionale lombardo, ha incassato la conferma della sua assoluzione in appello: non c’era nessun “sistema Sesto”, ma la sua carriera politica è uscita in pezzi dall’inchiesta. «Col senno di poi, però, le dico che non ho rimpianti: oggi in politica sarei una mosca bianca. Ora sono sereno, ho rimesso in fila i valori della mia vita».
La sentenza d’appello conferma l’assoluzione in primo grado. Aveva dubbi?
Nessuno. Era una sentenza attesa e ha solo confermato il fatto che si sia trattato di un processo senza alcun elemento a sostegno di un impianto accusatorio che era suggestivo quanto un romanzo giallo, ma frutto di pura fantasia. Confesso però che questa sentenza di appello mi ha dato una doppia soddisfazione.
E quale sarebbe?
Le parti civili, ovvero l’ex provincia di Milano e la Serravalle, sono state condannate alle spese processuali. Per me è una soddisfazione perchè è una sanzione contro l’accanimento sia della Procura di Monza che delle parti civili, che non hanno voluto riconoscer- si in una sentenza di primo grado ben argomentata e hanno deciso comunque di appellare, al termine di un processo durato più di due anni, in cui sono stati ascoltati decine di testimoni.
Esiste sempre il ricorso in Cassazione.
Ecco, io sinceramente mi auguro che questa sentenza metta fine a questo lungo iter processuale durato quasi sette anni. Spero che anche la Procura si sia convinta e che ogni elemento sia stato chiarito.
Sette anni non sono pochi. Si è sentito intrappolato in questo processo?
Ricordo come fosse ieri la mattina del 20 luglio 2011. Alle 7 del mattino si è presentata la Guardia di Finanza e mi ha informato dell’indagine, poi hanno perquisito la mia casa e gli uffici della Regione Lombardia, dove allora ero vicepresidente del consiglio regionale. Sono stati anni durissimi, in cui ho vissuto lo sconcerto di non riuscire a capire quali fossero le contestazioni a mio carico ma soprattutto l’angoscia al pensiero delle ricadute di una cosa del genere sulla mia famiglia e su me stesso.
C’è stato un momento in cui ha iniziato a sperare nell’assoluzione?
Guardi, appena è partito il processo ho capito che tutto si sarebbe risolto in un nulla. Sin dall’inizio ero certo che non ci fosse niente a mio carico e, non appena l’accusa ha svelato le carte, ne ho avuto la certezza. E’ stato allora che ho trovato in me la forza di essere sereno, convinto che tutto si sarebbe risolto positivamente. Questi sei anni, però, mi sono sembrati interminabili e mi hanno segnato in modo indelebile: solo dopo la sentenza di primo grado ho ripreso in mano la mia vita.
Una vita che, prima dell’inchiesta, era tutta votata alla politica, con una carriera che in quella fase era all’apice.
Indubbiamente il processo ha bruscamente interrotto la mia carriera. Sono passato dalle stelle alle caverne, diciamo. Dopo la sentenza di primo grado, però, ho ricominciato a vivere scoprendo altri interessi: oggi sono presidente della più gloriosa società di basket femminile in Italia, dal 1 settembre sono in pensione e sono anche diventato nonno. Insomma, ho rimesso in fila i valori e le priorità della vita e oggi sono tranquillo e, soprattutto, sereno.
Dica la verità, la politica non le manca nemmeno un poco?
La passione politica rimane e non si cancella, ma non ho intenzione nel breve periodo di tornare ad avere un ruolo attivo. Tra l’altro, le confesso che questo particolare momento politico non mi affascina per nulla. Lo considero una fase di imbarbarimento, in cui prevale la deriva demagogico- populista e la politica ha abdicato al proprio ruolo: la linea la dettano i sondaggi e non le convinzioni personali.
Davvero non si porta dentro alcun rimpianto?
Glielo dico sinceramente: con il senno di poi posso dire che questa indagine, che pure non ha portato a nulla e mi ha colpito in maniera così pesante, non mi ha privato di qualcosa che oggi ambirei a continuare a svolgere. Non ho grandi rimpianti, ecco.
Si sente, allora, di indicare qualche responsabile?
Il sistema dell’informazione ha molte colpe. Purtroppo, fino all’apertura del processo si sente solo e soltanto la voce dell’accusa e io sono stato processato dal sistema mediatico, solo sulla base della voce di chi mi accusava.
La sua sentenza d’appello segue all’assoluzione dall’accusa di associazione per delinquere a Ottaviano del Turco e a quella piena dell’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni. Il sistema politico si sta prendendo la rivincita?
Io credo che le ultime sentenze debbano almeno far riflettere il mondo dell’informazione, che in molti casi ha ecceduto nel dare per definitive le accuse, come se fossero già una condanna. D’altra parte, le dico anche che proprio queste sentenze mi rafforzano nella convinzione della bontà del sistema giudiziario e nella fiducia nella giustizia.
Eppure prima parlava di accanimento da parte della Procura di Monza.
Si ma io mi sono difeso nel processo e ho trovato giudici che, superando la pressione mediatica, hanno espresso un giudizio attinente a quanto emerso nella fase dibattimentale, senza far prevalere un pregiudizio sorto sulla base dell’esposizione sulla stampa. Dopo questi sette anni, si è rafforzata in me la fiducia che in Italia ci siano giudici capaci di non essere condizionati dalla pressione dei media e dallo strapotere dell’accusa nella fase istruttoria, ma decisi a fare giustizia.