Le sentenze del Tribunale di Roma sui migranti e la email del magistrato Marco Patarnello hanno riacceso un duro scontro tra la politica e la magistratura: ne parliamo con il sottosegretario alla Giustizia ed esponente della Lega Andrea Ostellari.

Qual è il suo parere sull’affaire Patarnello?

Si tratta di parole gravissime che dimostrano come, da trent’anni, ancora non si sia risolta la controversia rispetto alle prerogative della politica e della magistratura. Questo dibattito invece va risolto perché rappresenta uno dei temi centrali di questo nostro Paese.

E quale sarebbe?

Ognuno deve fare il proprio mestiere: politici da un lato, magistrati dall’altro. Tutti e tre i poteri devono avere la necessaria autonomia e libertà per poter svolgere appieno la propria funzione.

Però Patarnello in un passaggio puntualizza: “Non dobbiamo fare opposizione politica ma difendere la giurisdizione”. È possibile che questa email sia stata strumentalizzata?

No, secondo me no. È normale che ci siano email con contenuti di questo genere che arrivano da parte della magistratura, peraltro destinati poi non sappiamo bene a chi? Qual è lo scopo? Dibattere all’interno dell’ordine giudiziario sul legittimo intendimento di un governo o della maggioranza di un Paese? Se sì, lo trovo assurdo. Il ruolo della magistratura non è questo, ma piuttosto quello di applicare le leggi, assicurando a tutti le necessarie garanzie. Credo che fino a quando non riusciremo a riequilibrare i poteri dello Stato, la nostra democrazia avrà un grave problema.

Lei venerdì, mentre i suoi colleghi erano in piazza a Palermo a sostenere Salvini nel processo Open Arms, ha fatto un appello da Bologna: “Alla politica e anche alla magistratura oggi chiediamo il coraggio di fare un passo avanti. Basta divisioni”. Dichiarazione distensiva che regge ancora oggi dopo tutte queste polemiche?

Il mio appello era rivolto a quella parte della magistratura che in questi anni è rimasta in silenzio, che è la maggioranza dell’intero corpo, e ogni giorno, in silenzio, lavora. È quella parte della magistratura che non interviene, ad esempio, con email quantomeno discutibili, ma fa il proprio dovere, prestando servizio per il Paese. A quella parte mi rivolgo dicendo che forse, dopo 30 anni, è ora di cominciare a intervenire. E questo per rimettere al centro quello che è il vero tema: l’equilibrio tra i poteri. Oggi ( ieri, ndr) bene ha fatto Magistratura indipendente a scrivere in una nota che “il presidente del Consiglio dei ministri, di qualsiasi partito politico, non è mai un avversario da fermare o da combattere, ma un interlocutore istituzionale da rispettare. Sempre”.

E lei sottoscrive questa nota?

Dico solo che è bene che Magistratura indipendente sia intervenuta, ma non per assumere una posizione di scontro, mettendo un gruppo associativo contro un altro, quanto per ribadire che oggi il dibattito deve essere concentrato sull’obiettivo di cui parlavamo prima. Non ci può essere un potere che prevarica l’altro, altrimenti a rimetterci siamo tutti.

Va detto che altre correnti – Md, Area ma anche Unicost – sono scese in campo per dire che i giudici sono soggetti solo alla legge e che quella email, se letta per intero, non può essere fraintesa. E d’altra parte ad “attaccare per prima” è stata la maggioranza, subito scagliatasi contro la decisione dei giudici del Tribunale di Roma.

Non abbiamo bisogno di bersagli, bensì di punti di riferimento. E i punti di riferimento per la costruzione di un Paese migliore sta a noi crearli.

Condivide le parole con cui il presidente Mattarella ha detto che “tra le istituzioni e all’interno delle istituzioni la collaborazione, la ricerca di punti comuni, la condivisione delle scelte sono essenziali per il loro buon funzionamento e per il servizio da rendere alla comunità”?

La collaborazione istituzionale sta nella normalità: per questa ragione mi sono rivolto a quella stragrande maggioranza della magistratura che fino ad oggi è rimasta in silenzio, e mi rivolgo alla politica che vuole costruire e quindi riequilibrare. Se non abbiamo in testa questo, come visione complessiva, non riusciremo mai a rendere più giusto e pure più attrattivo il nostro Paese. Lo dico perché noi dobbiamo avere chiaro il nostro obiettivo: rendere più credibile il nostro Paese. Potremo farlo solo se interveniamo in questo modo, riequilibrando i poteri.

Sembrerebbe che il governo voglia, alla luce di questi fatti, accelerare sulla separazione delle carriere e darle la precedenza sul premierato. Ma il clima di scontro con la magistratura non rischia di fare passare questa riforma, nell’opinione pubblica, per una sorta di clava, e creare un contesto sfavorevole per il referendum?

Io non la vedo come una clava, ma come uno strumento utile per intervenire su uno dei temi dei quali si parla da troppo tempo. Come governo abbiamo proposto un testo di legge che prevede la separazione delle carriere, una nuova modalità di elezione all’interno del Csm e la famosa Alta Corte, che dovrebbe intervenire poi sulle questioni disciplinari. E come Lega appoggiamo storicamente l’idea della necessità di una riforma di questo nostro ordinamento. Lo abbiamo fatto da ultimo con il referendum insieme al Partito radicale. Quello in arrivo non è altro che un progetto che il governo mette a disposizione del Parlamento. E, proprio in quell’ambito, la maggioranza della magistratura che fino ad oggi è rimasta a guardare potrà dire qualcosa, come pure l’opposizione, da cui mi aspetto, almeno in parte, anche una buona dose di collaborazione.

A proposito di opposizione, la segretaria del Pd ha detto: come si può inserire nei Paesi sicuri l’Egitto che ha torturato e ucciso Giulio Regeni?

Stabilire se un Paese è sicuro o meno sulla base del singolo episodio, ancorché grave, credo sia un’operazione errata, perché altrimenti potremmo a nostra volta ritenere non sicuro tutto il territorio del nostro Paese. Io penso innanzitutto che sia importante ritornare a ragionare sul grado di paternità della decisione di determinare quale Paese sia sicuro e quale no. Essa spetta alla politica e non alla magistratura.

Però in Italia non è che si torturino le persone o si incarcerino gli oppositori politici.

Ripeto: i singoli episodi che accadono negli altri Paesi, con tutto il rispetto per la tragica vicenda di Giulio Regeni, non sono sufficienti per determinare la pericolosità dell’intero territorio di quel Paese.

C’è anche un problema di compatibilità col diritto dell’Ue: non si rischia che i magistrati finiscano per disapplicare anche il nuovo decreto?

Mi auguro che non ci siano altri interventi discordanti. È una scelta della politica o no? Io ritengo di sì. E questa scelta è legittimamente esercitata? Sì. E intanto facciamola.