«Mi è parso inadeguato vedere l'altro giorno il ministro della Giustizia indossare la divisa da agente della polizia penitenziaria. Chi ricopre una funzione istituzionale dovrebbe tenere un comportamento consono e rispettoso della carica». È forte il disappunto di Maria Cristina Ornano, gip al Tribunale di Cagliari e segretaria nazionale di Area, il cartello delle toghe progressiste di cui fa parte anche Magistratura democratica, per le scelte compiute dal guardasigilli e in generale dal governo nella gestione “mediatica” della cattura di Cesare Battisti.

Dottoressa Ornano, il ministro Bonafede ha postato sul proprio profilo facebook un video in cui si possono vedere le varie fasi dell’ingresso di Battisti in carcere: dalla registrazione alla matricola fino alle operazioni di foto segnalamento. Cosa pensa del modo in cui il governo ha scelto di rappresentare la vicenda?

Esistono delle leggi, penso all’articolo 42 bis dell’Ordinamento penitenziario, che stabiliscono come in tutte “le attività di accompagnamento coattivo di soggetti detenuti, internati, arrestati o in condizione di restrizione” si debba adottare ogni cautela per proteggere i soggetti dalla curiosità del pubblico e da ogni pubblicità.

Ecco, nel caso di Battisti questo non è accaduto. Ma chi avrebbe dovuto compiere le scelte a riguardo, secondo la legge?

Il direttore del carcere è il primo che deve vigilare su quanto accade nella struttura.

Cosa potrebbe avvenire se il legale di Battisti proponesse reclamo?

Potrebbe essere interessato del caso il giudice ordinario. Oltre al magistrato di sorveglianza cui compete verificare che la pena venga espiata nel rispetto della legge.

La spettacolarizzazione degli arresti è ormai una costante. Ci sono precedenti noti come gli arresti in diretta di Massimo Carminati o di Massimo Bossetti, solo per fare esempi recenti. Un fenomeno inevitabile a cui dobbiamo abituarci?

Non credo proprio ci si debba abituare. Il problema è che l’attuale politica, sollecitata da forti spinte “securitarie”, tende ad assecondare le aspettative diffuse in una parte dell’opinione pubblica, a raccogliere consenso. È un modo di fare che però finisce per lasciare sconcertati.

A proposito di politiche securitarie, la stessa giustizia rischia di piegarsi alle leggi del consenso?

Certo. È un meccanismo circolare, ben studiato, che si autoalimenta. Il politico tende a dire quello che la gente vuole sentirsi dire. Così facendo però si aumenta la percezione dei fenomeni criminali, che vengono ingigantiti. Si creano emergenze che, di fatto, non esistono.

È questa la logica della cosiddetta politica della paura?

Sì.

Sta facendo molto discutere in queste ora la presenza, come ospiti, di alcuni magistrati alla cena conviviale organizzata dall’associazione “Fino a prova contraria” della giornalista Annalisa Chirico. Che ne pensa?

Mi risulta che per partecipare a questa cena fosse necessario pagare 6000 euro. Tralasciando il fatto che in questi tempi di crisi certe cifre suscitano sdegno, chi ha pagato?

Se fosse stata invitata avrebbe declinato?

Sicuramente. Il magistrato non deve manifestare collateralismo ai poteri politici ed economici, ma deve sempre salvaguardare la propria autonomia e indipendenza. Ci sono altre sedi e luoghi per il confronto democratico sui temi della giustizia. Non durante cene costosissime.