Come anticipato in esclusiva nei giorni scorsi sul Dubbio, il Csm si prepara a riscrivere le regole per le nomine degli incarichi direttivi e semidirettivi: ne parliamo con Giovanni Zaccaro, segretario di Areadg.

Quali criticità rilevate nell’attuale disciplina?

Faccio una premessa: dobbiamo sdrammatizzare la questione della scelta dei dirigenti degli uffici. Ne parlano solo quelli che ambiscono a tali incarichi. Quelli più anziani. Anche nel bel dibattito che si terrà a Milano ci sono fra i relatori solo consiglieri superiori e non i magistrati di base, quelli più giovani, che sono quelli che “subiscono” i dirigenti.

Ma qualcuno deve comandare, come lo si sceglie?

Invece di impazzire sulle regole, che chi è in malafede riesce sempre a violare, noi di AreaDg stiamo ragionando sul senso della figura del dirigente. Preferiremmo una guida collegiale con il coinvolgimento di tutti i magistrati nell’organizzazione. A noi piace l’idea di una magistratura di uguali, senza assetti “verticistici”. Del resto, lo dice la Costituzione: i magistrati si differenziano solo per funzioni ed il più giovane dei colleghi ha lo stesso status del Primo Presidente.

Un’utopia?

Macché! Ridimensionare il ruolo dei dirigenti e soprattutto ridurne il numero è anche un modo per dare più tempo e forza al Csm di svolgere meglio il suo vero ruolo. Per interloquire con il Parlamento ed il Governo sui temi della giustizia, in un rapporto di leale ma dialettica collaborazione e di non di supina acquiescenza, come invece vorrebbe qualcuno. Per tutelare l’indipendenza dei magistrati. A proposito, che fine ha fatto la pratica a tutela della collega Apostolico?

Tra le due proposte che arriveranno dalla V Commissione - e che il Dubbio ha anticipato quale appoggerete come gruppo e perché?

La decisione non spetta a me ma ai componenti del Csm. I dirigenti vanno scelti per merito e per attitudini, che emergono da alcuni indicatori. Attribuire un punteggio per ciascuno di questi indicatori è un buon passo verso la prevedibilità e comprensibilità delle decisioni consiliari. Ma non basta.

Perché?

La vera sfida non è tanto scegliere il dirigente giusto, quanto quella di eliminare il dirigente che si è dimostrato inadeguato. Attribuire un punteggio per le pregresse esperienze organizzative è una barzelletta se non si ha la volontà e la capacità di giudicare cosa e come uno ha operato. Dobbiamo anche evitare di creare un circuito chiuso dei direttivi, dal quale non si esce più una volta che si è entrati. È giusto premiare chi ha esperienza organizzativa ma è anche giusto che costoro, ogni tanto, tornino nella pratica giudiziaria anche solo per non correre il rischio che si dimentichino dei problemi quotidiani che sono poi chiamati a risolvere. Poi si deve capire come dare questi punteggi.

In che senso?

Spesso le “carte” non spiegano bene le attitudini direttive dei magistrati. Serve allargare le fonti di conoscenza, coinvolgere i colleghi dell’ufficio, il personale amministrativo, gli avvocati: chi meglio di loro conosce pregi e difetti di chi ha guidato un ufficio. Spero gli avvocati ci seguano in questa battaglia. Hanno lottato tanto per assistere alle valutazioni di professionalità dei magistrati, perché non fanno lo stesso per quelle dei dirigenti?

Lei auspica una convergenza di tutti i gruppi associativi verso una unica proposta?

Sarebbe meglio una convergenza di tutti i gruppi. Tuttavia bisogna fare chiarezza sulle vere questioni. I punteggi servono a poco se vengono assegnati in mala fede. Se si vuole favorire qualcuno basta attribuire un punteggio stratosferico in relazione ad alcuni indicatori e ridimensionare altri. Vanno fatte invece scelta di campo chiare: si deve premiare la specializzazione o la varietà delle esperienze professionali? Se e quale peso dare alle funzioni fuori ruolo? Deve essere preferito chi già conosce l’ufficio ed il territorio oppure chi viene da fuori e porta nuovi stimoli? Se non si chiariscono queste cose si fa come nel Gattopardo: cambiare tutto per non cambiare niente.