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Giulio Terzi di Sant'Agata
«Il ritiro delle forze straniere dall’Afghanistan, a partire da quelle statunitensi, ha provocato la perdita di uno spazio di diritti e delle libertà faticosamente conquistate». L’Ambasciatore Giulio Terzi, già ministro degli Esteri, non nasconde la sua preoccupazione su quanto sta accadendo a Kabul. Il ritorno dei talebani è destinato a modificare gli assetti geopolitici non solo in Asia, considerata la creazione di un asse – o meglio di un nuovo ordine - inimmaginabile fino qualche anno fa: quello tra Cina e il mondo musulmano.
Ambasciatore Terzi, i talebani sono entrati a Kabul. Hanno certificato il fallimento occidentale lì?
«Sono indignato dalle semplificazioni che si stanno susseguendo in queste ore che parlano di fallimento in Afghanistan e di assenza di risultati dopo vent’anni di presenza in quel Paese di forze ed organizzazioni occidentali. Certo, non sono mancati errori. Ad esempio il ridimensiona-mento militare ed il graduale azzeramento politico occidentale in quella parte del mondo. Dire però che in vent’anni non ci sono stati risultati è falso e fuorviante. È pretestuoso verso gli Stati Uniti che sono impegnati senza risparmiarsi su più fronti: lotta alla pandemia, difesa dei diritti umani, lotta al riscaldamento del pianeta».
È possibile un inserimento meno traumatico dei talebani? Possono, depurati dal truce fanatismo, integrarsi e guidare l’Afghanistan?
«Quello dei talebani è un islam oscuro che distrugge le possibilità di sviluppo socio- economico. Non è possibile immaginare una resa definitiva di fronte al loro avanzare. I talebani sono molto più insidiosi dell’Isis. Hanno affermato la creazione di un emirato. Hanno una dimensione globale. È stata innescata una bomba atomica in un’area già critica che l’occidente ha cercato di contenere»
Stanno prendendo forma nuovi assetti geopolitici?
«Quanto sta accadendo in Afghanistan può segnare l’inizio di una nuova situazione a livello mondiale. Di un nuovo ordine con la convergenza, fino a poco tempo fa inedita, tra Cina e mondo musulmano. Intese dettate da nuovi business in cui sono coinvolti diversi soggetti che vanno dai talebani all’Iran. Non dimentichiamo che gli interessi cinesi in Afghanistan sono diversi. Tra questi si pensi alla ferrovia che collega la Cina alla Turchia e che attraversa gran parte dell’Asia. Siamo di fronte ad un nuovo scenario geopolitico con nuovi assetti».
A partire dai Paesi confinanti con l’Afghanistan?
«Certo. Molti Paesi di quell’area, dopo anni di presenza occidentale, andranno da un’altra. Penso a Turkmenistan, l'Uzbekistan e il Tagikistan. I riferimenti per questi Stati saranno altri».
Il destino degli afgani adesso è completamente nelle loro mani?
«La transizione è in mano al popolo afgano, indubbiamente. I talebani sono un coacervo di forze con un denominatore comune. Mi riferisco al fondamentalismo e all’interpretazione più atroce della sharia. Si aggiunga poi all’applicazione della jihad sempre e comunque».
I diritti delle donne sono particolarmente minacciati?
«Come ha affermato Zarqa Yaftali, direttrice esecutiva della Women and Children Legal Research Foundation, benché in forma ancora inadeguata, in Afghanistan “le donne possono partecipare ai processi decisionali politici, culturali e sociali. La Costituzione dell’Afghanistan ha sancito l’uguaglianza di genere. Le donne occupano posizioni nei consigli nazionali e provinciali, così come nell’assemblea nazionale e nei tribunali”. La nuova realtà che va rapidamente configurandosi segnerà un arretramento fatto di abusi, sofferenze e perdite di vite umani incalcolabili, a cui l’occidente, profondamente impegnato per venti anni in quella terra martoriata, non può rimanere indifferente».
Cosa può fare l’Unione europea?
«Questo è il momento in cui può e deve esercitare la sua massima influenza politico- diplomatica per blindare da subito i risultati conseguiti a favore in materia di diritti umani, soprattutto per quanto riguarda i diritti delle donne, delle ragazze e delle bambine, che hanno finalmente vissuto anni di relativo progresso verso la l’inclusione e la pace. La Presidente Ursula Von Der Leyen e il Presidente Charles Michel pongano al centro, in ogni contesto multilaterale in cui l’Ue è presente, il principio secondo il quale in ogni intermediazione con i talebani e, marginalmente, ove necessario, con i nuovi attori emergenti di Russia e Cina, si debba mantenere l’acquis afgano della Costituzione, con riferimento particolare agli articoli 44 e 53 che garantiscono i diritti fondamentali alle donne, e delle risoluzioni delle Nazioni Unite, a cominciare dalla numero 1325.
Lei presiede il “Global Committee for the Rule of Law Marco Pannella” (Comitato Globale per lo Stato di Diritto Marco Pannella). Avete fatto delle proposte all’Europa. In cosa consistono?
«Sottolineiamo l’urgenza di avviare e realizzare un’azione umanitaria di evacuazione per tutti coloro che negli anni e a vario titolo hanno lavorato con le forze straniere nel Paese. L’Ue organizzi un corridoio umanitario, un ponte aereo sicuro per salvare e garantire l’esistenza di chi ha contribuito al progresso dell’Afghanistan partecipando alle attività dei governi o delle Ong, in ambito militare o civile, a livello associativo o individuale. Facciamo sì che tutti i cittadini afghani a rischio, tra l’altro persone molto qualificate, possano raggiungere uno degli Stati membri dell’UE per trovarvi rifugio».