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Filippo Tortu taglia il traguardo: Italia d'oro nella 4x100 alle Olimpiadi
Mani nei capelli. Filippo Tortu ha le mani nei capelli. Un centesimo sopra l’inglese. Un centesimo dopo ha le mani in testa. Non ci crede. Non è possibile infatti. Prima l’oro nei 100 metri. Poi nella 4x100. Sovvertita la storia delle Olimpiadi. Cambia per sempre l’epopea dello sport. L’Italia ha un volto diverso: non più il paese dei tenaci che soffrono, improvvisamente siamo anche la terra dei fenomeni che fanno esplodere la potenza nello sprint. Pazzesco. Chi abbia idea di cosa sia stata fin qui la scia azzurra sui 100 e i 200 metri capisce che è successo l’impensabile. «Non svegliateci da questo sogno», urla nelle case degli italiani il telecronista Rai. Non svegliateci, sì. Non vogliamo nemmeno sentirne parlare, di svegliarci. Diteci però cosa significa tutto questo. Diteci perché neppure in una stagione straordinaria per la nostra dirigenza sportiva come quella in cui al vertice di tutto c’era un gigante come Primo Nebiolo, eravamo riusciti ad arrivare cosi in alto. Diteci perché un paese piagato dalla più grande catastrofe sanitaria dall’inizio dell’era moderna ha trovato la forza e lo spirito per primeggiare nello sport. Europei di calcio, record di medaglie olimpiche, 38 finora, padroni della velocità, oltre che nelle nostre discipline tradizionali come la marcia. Difficile spiegare, difficile capire come l’età mitica di Mennea e Simeoni si sia meravigliosamente ripresentata e moltiplicata nei volti di Marcell Jacobs, Filippo Tortu, Eseosa Desalu e Lorenzo Patta, e in quelli di Gianmarco Tamberi e degli altri nostri campioni alle Olimpiadi di Tokyo. Può darsi che il giusto principio dell’autonomia nelle federazioni sportive abbia dato i suoi frutti, in un paese che ha perso finalmente l’organicismo post bellico, da provincia del piano Marshall. Può darsi che il lavoro silenzioso abbia liberato poco a poco capacità e risorse. Che la fine dell’era del grande doping abbia riequilibrato valori sportivi prima alterati. Noi qui non pretendiamo di spiegare con formule magiche, al massimo custodiamo un auspicio. L’estate straordinaria di Mancini e Jacobs assomiglia per la sua incredibile successione di vittorie a quella dei Mondiali vinti nell’82 dagli azzurri di Bearzot. Anche quello fu un anno d’oro, per il nostro sport, dal ciclismo con Saronni al canottaggio con gli Abbagnale, oltre che nel calcio. Il 1982 fu lo start di una breve, effimera stagione di benessere diffuso e rilancio del paese. L’ottimismo degli anni Ottanta è svanito in fretta nell’umiliazione di Tangentopoli. L’estate 2021 del record di medaglie, del primato di paese “più veloce del mondo”, arriva dopo un tunnel peggiore di quello da cui uscimmo quarant’anni fa: allora furono gli anni di piombo, stavolta il covid. Ecco, vogliamo credere che la gloria nello sport stavolta annunci la vera rinascita. Dobbiamo lasciarci alle spalle le rovine della pandemia. Ci si può solo augurare che la scintilla dei successi si propaghi dallo sport a una crescita stabile, duratura, non effimera. Dev’essere così. Abbiamo sofferto, abbiamo vissuto una tragedia peggiore della guerra civile a bassa intensità degli anni Settanta. Possiamo riscattarci come nella pista olimpica di Tokyo e possiamo trovarne la voglia in quella nostra antica virtù: saper soffrire, saper resistere e rinascere nei momenti più bui. Gli auspici sono un soffio. Ma crederci non costa. Avere fiducia non richiede fondi europei. Si tratta di imparare dagli errori e di restare in piedi sullo slancio. Come si dice allo stadio: Forza Ragazzi. Ecco, diciamocelo a tutti noi. Forza.