PHOTO
Che il buon cuore alleggerisca il portafogli va detto senza falsi infingimenti: nessuna buona azione è indolore, «nessun pasto è gratis», come insegna Milton Friedman. I diritti vanni presi “responsabilmente” sul serio. E allora ai migranti vanno garantite condizioni igieniche e sanitarie decenti, tetti non di lamiere, mense che non siano porcilaie, salari non umilianti, trasporti che non ricordino i vagoni piombati, pene severe inflitte ai caporalati. Prendere sul serio i diritti è ammettere che nessuna buona azione è indolore
«Non è vero - ha scritto Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 6 aprile u. s. - che l’Europa vacilla perché è stata esclusivamente un’Europa dell’economia e della finanza, un’Europa a cui è mancata la necessaria anima politica. |…|. Un’anima politica infatti l’Europa l’ha avuta e ha anche cercato in vari modi di coltivarla. È stato il cosmopolitismo. L’idea cioè del primato dell’universalità in tutte le sue possibili declinazioni. L’universalità della pace, delle libertà personali per tutti come della libertà dei traffici e delle transazioni, della giustizia e dei diritti - di ogni diritto, di un sempre maggior numero di diritti - di una sempre più larga trasformazione di ogni facoltà in un diritto. Un paradigma cosmopolita in tutti i sensi espansivo dunque ( anche territorialmente: non a caso perfino i confini geografici europei rimangono a tutt’oggi indefiniti), ma al tempo stesso tendenzialmente smaterializzato, politico ma in senso assai debole, com’è destino di ogni cosmopolitismo».
Sono d’accordo ma fingiamo, per un momento, che «l’autodifesa di società che si sentono impoverite e minacciate» )-- di cui ha scritto Eduardo Tabasso nell’articolo “Come il virus cambia il mondo” ( Il Dubbio del 9 aprile u. s.) sia un falso problema da sovranisti attardati come Pierre André Taguieff, citato da Tabasso, e che i ‘ diritti cosmopoliti’ - invocati da Luigi Ferrajoli, dall’universalismo mercatista ( Il Foglio, l’Istituto Bruno Leoni) e dall’universalismo assistenzialista ( il vasto fronte ideologico che vuole abbattere tutti i muri) - siano gli unici temi etici e politici che debbono impegnare gli uomini del terzo millennio. In questo caso, però, se si vuole evitare la superficialità e l’irresponsabilità di un popolo spesso fatuo come il nostro, il cui motto è da sempre «e và bene… intanto… poi si vedrà», ci si dovrà accordare non solo a riconoscere i diritti ma a «prenderli sul serio», per citare il titolo della nota opera di Ronald Dworkin. Ma se è così, bisogna riflettere seriamente su quanto scrive Lanfranco Caminiti, “I migranti sono scomparsi ma ora tutti li vogliono”, su Il Dubbio dell’ 8 aprile u. s.: il governo del Portogallo ha approvato «una sanatoria per i richiedenti asilo e per tutti gli stranieri senza permesso di soggiorno che abbiano chiesto di accedere ai servizi sanitari. Con questa regolarizzazione gli stranieri potranno cercare un lavoro regolare, avere un contratto e accedere a tutti i servizi pubblici e affittare una casa senza ricorrere al mercato nero.
L’agricoltura portoghese ha bisogno delle loro braccia. È quello che dice Coldiretti: ci sono le fragole nel Veronese, la preparazione delle barbatelle in Friuli, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia Romagna, dell’uva in Piemonte, gli allevamenti da latte in Lombardia dove a svolgere l’attività di bergamini – quelli che d’estate portano le bestie in alto sui pascoli e d’inverno le tengono nelle stalle – sono soprattutto indiani e poi ci sono i macedoni, quasi tutti pastori. Dalla frutta alla verdura, dai fiori al vino, ma anche negli allevamenti, in totale – dice Coldiretti – fra stagionali e permanenti sono 345mila i lavoratori stranieri impiegati in agricoltura, per trenta milioni di giornate di occupazione». Si può ignorare la domanda di lavoro di masse africane condannate alla fame e alle violenze tribali e l’offerta di lavoro di imprenditori, soprattutto agricoli, bisognosi di braccia per i loro campi? Certo che no, ma quei benedetti diritti dobbiamo o no prenderli sul serio? E allora ai migranti vanno garantite condizioni igieniche e sanitarie decenti, tetti non di lamiere, mense che non siano porcilaie, salari non umilianti, trasporti che non ricordino i vagoni piombati, pene severe inflitte ai caporalati.
A chi incomberà l’onere di assicurare tutto questo? Ai datori di lavoro? Ma se lo facessero - aggiungendo sempre “sul serio”- i costi non si ripercuoterebbero sui prezzi al mercato? Se un kg di pomodori si compera oggi a x euro, continuerebbe a comprarsi allo stesso prezzo se gli imprenditori agricoli si risolvessero a far vivere dignitosamente i dannati della Terra ? Il Coronavirus non consente, oggi più che mai, una politica welfarista pagata dalle aziende: e allora chi deve provvedere? Gli enti locali, ovviamente, e nell’unico modo possibile: alzando le tasse dei contribuenti. Nessuno scandalo - per carità di Dio! - ma il dovere di parlar chiaro ai cittadini resta ineludibile per un partito che aspiri legittimamente alla guida di un Paese. Che il buon cuore alleggerisca il portafogli va detto senza falsi infingimenti: nessuna buona azione è indolore, «nessun pasto è gratis», come insegna Milton Friedman. Molti anni fa, nel corso di una tribuna televisiva, Amintore Fanfani a un giornalista che chiedeva al governo certe misure sociali, rispose citando l’episodio dell’Odissea in cui il re dei Feaci, Alcinoo, invitò quanti, profondamente scossi dalle disavventure di Ulisse, volevano colmarlo di doni, a contribuire subito concretamente: « Uom di gran senno lo stranier mi sembra/ Dunque s’onori d’ospitali doni; / E poi ch’oltre di me dodici prenci / Ha la nostra città, gli rechi ognuno / Una veste leggiadra ed un leggiadro/ Manto e un talento di purissim’oro/. E senza indugio; ché vederli ei possa,/ E venga a cena con allegro viso ». Già, dirà qualcuno, ma chi sarà disposto ad aiutare il prossimo se gli toccherà poi di comprare i pomodori a un prezzo più alto e di versare alle finanze comunali una imposta maggiore? Personalmente, non avrei alcun problema ( ho un tenore di vita abbastanza agiato): mi chiedo, però: ma che razza di democrazia è questa che si guarda bene dal dire al popolo come stanno le cose nel timore di vedersi bocciata una legge che si ritiene equa?. È la democrazia bellezza! Una forma di governo che spesso lega le mani sia quando si tratta di fare il bene, sia ( consoliamoci) quando si tratta di fare il male. La riporremo tra i ferri vecchi della storia, affidando il timone del governo ai filosofi, ai tecnocrati, agli scienziati?
Forse, l’orgoglio di appartenere a una grande comunità nazionale, come porta a pratiche colonialiste di cui dovremmo vergognarci come appartenenti al genere umano, così può renderci più solidali nei confronti di quanti stanno peggio di noi. Era cittadino di quel Regno Unito, che in Cina aveva scatenato uno degli episodi più infami della storia universale, la guerra dell’oppio, lo scrittore George Orwell, conduttore di una trasmissione radiofonica durante la seconda guerra mondiale. A un’ascoltatrice che lamentava il diverso trattamento che Inghilterra e Germania riservavano ai prigionieri di guerra, pretendendo quindi che anche i tedeschi nei campi inglesi venissero trattati male, rispose: «Signora, noi non possiamo permettercelo, siamo superiori!»