Può una casa essere costruita dal tetto? Evidentemente, no. La legge sulla autonomia differenziata, approvata tre giorni fa, sembra aver seguito un singolare metodo: costruire un apparato normativo senza le fondamenta e i pilastri rappresentati dai Lep, i livelli essenziali delle prestazioni. Nei mesi scorsi, il comitato dei saggi che fecero parte del gruppo di studio sui Lep espresse alcune perplessità al presidente dell’organismo, Sabino Cassese, in merito alla mancata definizione proprio dei livelli essenziali delle prestazioni. Tra gli studiosi anche il costituzionalista Massimo Luciani.

Professor Luciani, la legge sull'autonomia differenziata è stata costruita senza fondamenta?

Da sempre sono convinto che ci sia un problema di difetto di istruttoria, per usare una terminologia cara a noi giuristi, per due ragioni. La prima è la più radicale ed è la seguente. Non mi sembra che sia mai stato dimostrato con nessuna ricerca, né di carattere economico né di carattere sociologico, che il regionalismo differenziato sia un vantaggio. Intendo ovviamente un vantaggio per il Paese, perché stiamo parlando del sistema Paese. Se vi fosse un vantaggio soltanto particolare non ci soffermeremmo neppure a discutere. Un altro punto sul quale vale la pena riflettere si ricollega all’esempio della sua domanda. Non si è mai chiarito, in modo metodologicamente appropriato, che cosa siano i Lep, né perché in alcune materie gli stessi Lep siano stati esclusi. L'altra cosa che non mi sembra sia stata fatta riguarda la valutazione attenta del rapporto tra i livelli essenziali delle prestazioni e le risorse disponibili.

Qual è la scala delle priorità? Vengono prima le risorse e poi i livelli essenziali o il contrario?

Nel primo caso ci sarebbe un problema di instabilità. Le risorse sarebbero identificate di volta in volta nel singolo esercizio finanziario e quindi avremmo che i livelli essenziali delle prestazioni sarebbero essenziali in qualche momento e non essenziali in qualche altro. Nell'ipotesi in cui i Lep precedessero invece l'identificazione delle risorse, avremmo la conseguenza che gli stessi livelli essenziali delle prestazioni sarebbero indicazioni puramente astratte. Correremmo il rischio di fare le nozze con i fichi secchi. Queste sono le criticità nella recente iniziativa normativa.

Una serie di dubbi e perplessità vennero espresse dal comitato dei saggi di cui lei ha fatto parte. Rilievi mai presi in considerazione?

Effettivamente non c'è stata una discussione sulle osservazioni critiche poste con uno spirito collaborativo, senza alcuna demonizzazione verso l'ipotesi del regionalismo differenziato. La questione centrale è la seguente: serve davvero? E se si dimostra che serve, quali sono gli strumenti a disposizione? Io temo che si tratti di una legge in larga misura monca. È previsto un intervento normativo, ma la fase attuativa che, in realtà, è assolutamente decisiva, non è adeguatamente disciplinata.

Nelle sue analisi lei usa sempre l'espressione «regionalismo differenziato» e non autonomia. Lo fa per sottolineare il ruolo fondamentale che dovrebbero assumere le Regioni?

Ritengo evidente che questa riforma sia maggiormente attenta al regionalismo, piuttosto che all’autonomismo in senso stretto, vale a dire all’autonomismo degli enti locali. A mio avviso, il sistema italiano dovrebbe valorizzare anche le autonomie locali in senso stretto. Poi c’è un altro problema. In Spagna abbiamo assistito a un processo di rincorsa dell'autonomismo. Una

volta che una Regione ha ottenuto alcune concessioni autonomistiche, poi le altre si sono affrettate, per ragioni evidenti di consenso politico, a richiedere un trattamento analogo.

Se questo avvenisse anche da noi ci sarebbe da chiedersi quale sarebbe la razionalità di un disegno del genere. Quello che mi interessa, all’interno di un sistema Paese, è la posizione internazionale dell’Italia nel suo insieme non in riferimento a questa o a quella regione. Purtroppo, in Italia abbiamo gravi difficoltà a far prevalere l'interesse nazionale sugli interessi di parte. Al di là delle Alpi, in Francia o in Germania, l'atteggiamento delle classi politiche è molto diverso.

Negli ultimi giorni si registrano posizioni molto critiche di alcuni rappresentanti meridionali del centro- destra. Si pensi presidente della Regione Calabria, il forzista Occhiuto, e al presidente del Consiglio regionale calabrese, Mancuso della Lega. Un malessere giustificato?

Tutto l’iter che ha portato alla legge sull’autonomia differenziata vorrei che venisse studiato e analizzato, prescindendo dai posizionamenti politici. Questo è un tema che ritengo fondamentale, ecco perché insisto sulla questione dell'interesse nazionale. Affermare le ragioni della compattezza della maggioranza di centro- destra o le ragioni dell'opposizione di centro- sinistra interessa poco. Spesso si dice che esiste un'Italia a due o a più velocità, ma questo ragionamento non vale a portare argomenti a favore della riforma. Se ci sono più velocità non è che per questo chi va a 200 all'ora debba andare a 300 e chi va a 50 debba andare a 40. Dovremmo andare tutti alla massima velocità possibile, perché il paradigma è sempre l'interesse nazionale.

Questa legge rappresenta un'occasione mancata?

La mia impressione è che il centrosinistra e il centrodestra abbiano pari responsabilità nella mancata costruzione di un regionalismo efficiente. La riforma del titolo V del 2001, che è del centrosinistra, non è per nulla soddisfacente e questa iniziativa del centrodestra, probabilmente, come abbiamo detto, è ancora peggio. Occorreva prendere atto del fatto che il modello di regionalismo veramente vitale è quello “cooperativo” nel quale le regioni cooperano tra loro per l’ottenimento del massimo risultato di sistema e cooperano insieme allo Stato sempre per la stessa finalità. Questo è il modello che serve all’Italia. Serve pensare a un sistema che offra momenti di incontro tra lo Stato e le Regioni. Momenti decisionali e programmatici capaci di dare un senso e un segno al regionalismo. Sarebbe stato utile condividere tanto nel centro- destra quanto nel centro- sinistra una forma di potenziamento degli istituti di coordinamento. Questo era il vero problema da risolvere.