Violenza chiama violenza. Immaginare che l’Iran, dopo l’attacco a Teheran che ha disintegrato il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, non reagisca è da ingenui. Inoltre, il primo ministro israeliano, Bibi Netanyahu, ha tutto l’interesse a proseguire una guerra che si allarga sempre di più. Il motivo ce lo spiega Vittorio Emanuele Parsi, ordinario di Relazioni internazionali nell’Università Cattolica di Milano.

Professor Parsi, il raid israeliano a Teheran, in cui è stato ucciso Ismail Haniyeh, viene giudicato come una risposta legittima per estirpare Hamas, ma è stato effettuato in uno Stato sovrano. Così si incentiva il “terrorismo di Stato”? E il diritto internazionale che fine fa?

Di fatto sì, si incentiva il terrorismo di Stato, perché andare in giro ad ammazzare chi non ci piace, a casa altrui, legittima chiunque abbia questa stessa idea a seguire tale esempio. Inoltre, si indebolisce tutta quella costruzione giuridica internazionale realizzata con fatica nel corso della seconda parte del Novecento e poi della prima parte di questo secolo, che non è stato semplicemente un orpello delle ricche democrazie del cosiddetto “Occidente diffuso”, come lo chiamano i suoi nemici, per imbellettare il proprio predominio. Se un Paese, che si ritiene una democrazia, ricorre sistematicamente a un certo tipo di azioni, rende il mondo più insicuro proprio per le democrazie. Israele è da tanti anni in una condizione particolare, lo stesso vale per i palestinesi che vivono in una condizione ancora peggiore di quella degli israeliani visto che non hanno neppure uno Stato e nel loro territorio gli israeliani entrano ed escono con le porte girevoli, facendo strage. A Gaza, sino ad oggi, si contano 40mila morti. Se gli israeliani, che sono in condizioni privilegiate rispetto ai palestinesi, fanno questo, perché noi dovremmo condannare i palestinesi quando compiono azioni analoghe? Non c'è più nessuna possibilità di sostenere una tesi che non sia una pregiudiziale. Dato che noi siamo cittadini delle democrazie e, in alcuni casi, siamo studiosi, cerchiamo di utilizzare la sensibilità dei cittadini democratici unita al rigore di studiosi.

Bibi Netanyahu sta prolungando la guerra sulla Striscia di Gaza, con tutte le altre conseguenze che ne derivano, per evitare guai giudiziari?

La Corte penale internazionale ha chiesto il suo arresto per crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Paradossalmente questa richiesta di arresto è quella che meno preoccupa Netanyahu. Lo abbiamo visto andare negli Stati Uniti senza problemi e si recherà in altri Paesi tranquillamente. Va detto però che la magistratura israeliana sta stringendo il cerchio delle accuse per reati infamanti. L’accusa nei confronti del primo ministro israeliano è quella di aver preso mazzette per consolidare il suo potere. Mentre Netanyahu scatena una guerra senza fine, prolungando quella che era una legittima risposta ai terribili attentati del 7 ottobre, suo figlio se ne sta negli Stati Uniti a fare la bella vita e gli altri cittadini israeliani mandano i loro figli a morire nella guerra di Bibi.

Netanyahu sta calcando la mano perché il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, è sempre più debole anche fisicamente, oltre che dimissionario?

Penso di sì. Netanyahu è sempre stato, per usare l’espressione di una volta, un “cane pazzo” rispetto a quelli che potevano essere i desiderata delle amministrazioni americane. In tutta la sua carriera ha dimostrato di essere completamente sordo alle richieste di moderazione che provenivano da Washington. Netanyahu sa che più sale il livello dello scontro più gli americani sono in qualche modo costretti ad attenuare la loro critica verso l’alleato israeliano e a sostenerlo militarmente. L’amministrazione Biden ha cercato di rallentare e in certi momenti di sospendere il flusso delle consegne di munizioni e di armi, ma puntualmente ha dovuto ricominciare nelle forniture. È una scelta. A me sembra che Netanyahu stia giocando col fuoco, perché l’eccezionalità di Israele tra alcuni decenni, non so quanti, non sarà più tale. Lo vediamo nei rigurgiti inaccettabili di antisemitismo nelle nostre società in Europa, nelle società che hanno vissuto l’Olocausto. Non bastano le accorate parole di testimoni nobili, come la senatrice Segre, per allontanare questo spettro. La cornice di sicurezza, la simpatia e il sostegno a prescindere di cui Israele ha goduto per tanti decenni, a mano a mano che ci allontaniamo dalla fine della Seconda guerra mondiale, oggettivamente diminuiranno. E Netanyahu lo sa.

Il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha detto che Hamas è “un'organizzazione in disintegrazione”. C’è da credergli?

Sicuramente Hamas ha subito colpi durissimi con la distruzione di tutte le infrastrutture presenti a Gaza, ridotta a un cumulo di macerie, altro che “Germania anno zero” di Rossellini. Gaza è stata arata in dieci mesi come neanche la Germania in sei anni di guerra nel 1945. In questi mesi sono stati colpiti di sicuro molti miliziani, perché tra i 40mila palestinesi morti vi è un numero che potrebbe aggirarsi tra i 5mila e i 7mila combattenti. Hamas ha perso adesso il suo leader politico e molti dirigenti. Dopo quello che è successo a Gaza in questi dieci mesi, i palestinesi sopravvissuti sulla Striscia e in Cisgiordania hanno ancora carburante di odio per ricostruire strutture di resistenza e di combattimento. Il modo in cui questa campagna è stata condotta e, più in generale, il sistematico sabotaggio degli accordi di Oslo da parte delle autorità israeliane, ha fatto piazza pulita dei moderati. In una situazione sempre più radicalizzata i radicali acquistano spazio. Non credo che si possa risolvere il problema di Hamas eliminando questa organizzazione, perché potrebbe nascerne un’altra. Netanyahu sembra il generale Custer con i Sioux.

Teheran ha annunciato vendetta. Anche gli Stati Uniti e l’Europa, con le Olimpiadi in corso, sono nel mirino?

L'Europa è molto meno trinariciuta nel sostegno a Netanyahu ed è molto più critica. L’America è invece molto più sbilanciata. La gran parte delle armi importate da Israele sono americane. Va detto che non possiamo considerarci non esposti a una ritorsione. Anche per questo dobbiamo fare molta attenzione a dare un sostegno acritico alle politiche del governo di Netanyahu. Un aumento del caos ci trascina in una guerra che non è nostra, che non riguarda qualcosa che ci minaccia nella nostra sicurezza. L’Iran temo che reagirà, perché è stato colpito in maniera plateale e sa già che la via giuridica del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non gli darà soddisfazione. Gli israeliani hanno alzato l’asticella e fatto vedere che addirittura si può violare il confine di uno Stato con cui non si è in guerra per andare a colpire un terzo, addirittura nella capitale. I nemici di Israele sanno che, anche solo per la forza dei numeri, il tempo, se sarà di guerra e di violenza, è dalla loro parte. Se invece la prospettiva si trasformerà in termini di pace, di trattativa e di rispetto reciproco, allora, il tempo sarà l’alleato di tutti.