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La magistrata Silvana Arbia
La richiesta di mandato di arresto del procuratore della Cpi, Karim Khan, nei confronti dei vertici di Hamas, del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e del ministro della Difesa Yoav Gallant ha provocato reazioni diverse nel mondo. Ne abbiamo parlato con la magistrata Silvana Arbia, già Prosecutor del Tribunale penale internazionale per il Ruanda. «Esistono – dice Arbia al Dubbio - norme di diritto internazionale che tutti devono rispettare. Nessuno è al di sopra della legge, indipendentemente dai ruoli istituzionali rivestiti. Anzi, più elevata è l’autorità esercitata, più grave e più estesa è la responsabilità».
L’importante ruolo della Cpi non viene riconosciuto da tutti gli Stati?
Non è la prima volta, durante i trascorsi due decenni dall’entrata in vigore dello Statuto di Roma, che il procuratore della Cpi chieda alla Pre-trial Chamber l’emissione di mandati di cattura contro presunti responsabili di crimini di competenza della Corte stessa. Sono già stati emessi simili mandati in altre situazioni, si pensi ad Al Bashir e a Putin, ma le leadership mondiali, oggi, come in passato, appaiono guidate da interessi politici ed economici piuttosto che dall’interesse a porre fine all’impunità di autori di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra e preservare, così, la pace e la sicurezza mondiale. Né è la prima volta che per proteggere leader di Paesi amici, alcuni Stati tentino di svilire il mandato della Corte, creare ostacoli alla esecuzione delle sue decisioni facendola apparire un’istituzione inutile e costosa. Fino ad oggi la Corte è riuscita, comunque, a funzionare e a dimostrare quanto importante sia per milioni di vittime e per Stati deboli poter ricorrere all’intervento di una giurisdizione internazionale per ristabilire la pace e la riconciliazione delle loro popolazioni attraverso la giustizia, che è, lo posso dire per esperienza, domandata a gran voce. Avendo la Cpi il potere di perseguire e punire i crimini di sua competenza da chiunque commessi, quindi anche da cittadini di Stati non parte come Israele, negli Stati parte dello Statuto di Roma, e da cittadini degli Stati parte ovunque commessi, è pienamente legittima l’azione del procuratore di svolgere indagini, formulare accuse e chiedere mandati di cattura contro cittadini palestinesi, essendo la Palestina Stato parte, e contro cittadini israeliani autori di crimini commessi nel territorio della Palestina, costituito da Gerusalemme Est, Gaza e West Bank. Esistono norme di diritto internazionale che tutti devono rispettare. Nessuno è al di sopra della legge, indipendentemente dai ruoli istituzionali rivestiti. Anzi, più elevata è l’autorità effettivamente esercitata, più grave e più estesa è la responsabilità. Le accuse enunciate dal procuratore della Cpi includono in effetti anche la responsabilità per crimini commessi da subordinati, per non averli impediti pur avendone il potere e o per non averli puniti.
L’iniziativa del procuratore Khan è stata criticata da alcuni Stati. Non è stata però sottolineata l’imparzialità della Cpi. Cosa ne pensa?
Se la Corte penale internazionale venisse soltanto percepita come un’istituzione che opera secondo criteri selettivi e, quindi, senza garanzie di imparzialità, con pregiudizio grave per la sua credibilità, si raggiungerebbe lo scopo di coloro che, temendo l’azione della Corte, cercano di portarla al fallimento, giustificando l’uso della forza e la corsa agli armamenti come il solo mezzo per la soluzione dei conflitti.
Quali saranno le prossime tappe, dopo la richiesta di mandato d’arresto per i vertici di Hamas, Netanyahu e Gallant? È possibile fare delle previsioni tenendo conto dei capi di imputazione molto circostanziati?
In base a quanto si legge nelle dichiarazioni del procuratore di due giorni fa, si può ritenere che i cinque mandati saranno emessi dai giudici. I capi di accusa per crimini contro l’umanità e crimini di guerra appaiono giustificati prima facie. Non figura tra le accuse quella di genocidio, ma le indagini continuano e le situazioni si evolvono continuamente, e non possiamo escluderla. Ricordiamo che la responsabilità internazionale dello Stato di Israele è oggetto di una procedura avviata dal Sud Africa innanzi alla Corte internazionale di giustizia, che ha emesso misure provvisorie ed urgenti, avendo ritenuto la sussistenza del fumus boni iuris di violazioni, da parte di Israele, della Convenzione del 1948 sulla prevenzione e la repressione del genocidio in danno del popolo palestinese in quanto gruppo distinto e protetto in quanto tale.
Quando qualcuno afferma di non riconoscere l’autorità della Corte dell’Aia si rinnegano anni di sforzi e di lavoro della giustizia penale internazionale?
Gli Stati sono liberi di firmare e ratificare il trattato istitutivo della Corte penale internazionale. Oggi sono 123 gli Stati che cedono una parte della sovranità nazionale per quanto concerne i crimini internazionali di competenza della Cpi, aggressione, genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, ottenendo la garanzia della punizione di quei crimini se commessi nel proprio territorio da “chiunque”. Tale garanzia è particolarmente importante nelle situazioni in cui uno Stato parte non ha la possibilità per mancanza degli strumenti e per il non funzionamento delle giurisdizioni nazionali, come in caso di conflitti armati in corso o di crisi istituzionali.
Il procuratore Khan sottolinea “il principio di complementarità, che è al centro dello Statuto di Roma” e che “continuerà a essere valutato”.
La Cpi, per statuto, è complementare alle giurisdizioni nazionali che hanno l’obbligo di perseguire e punire i crimini di competenza della Corte penale internazionale, nei casi in cui gli Stati non vogliono o non possono. L’intervento della Corte presuppone la mancanza di volontà effettiva. Non è sufficiente una volontà apparente a volte per sottrarre individui alla giustizia con la messa in scena di procedure di circostanza o l’impossibilità delle giurisdizioni nazionali di esercitare l’azione penale. Ricorre questa impossibilità anche quando gli autori si trovano in posizione di potere e potrebbero impedire direttamente o indirettamente che si proceda nei loro confronti. Si tratta della complementarietà cosiddetta “passiva”. I primi anni di esperienza della Cpi hanno dimostrato poi la necessità di avviare progetti di complementarietà “attiva”, non prevista nello Statuto, ma molto importante per il raggiungimento dell’obiettivo di assicurare a tutti uguale accesso alla giustizia e consistente nell’offrire agli Stati competenze, mezzi ed esperienze necessarie al corretto funzionamento delle giurisdizioni nazionali.