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Nello Rossi, ex magistrato e direttore di "Questione Giustizia"
La prescrizione torna centrale nel dibattito politico. Ne parliamo con l’ex magistrato e direttore di Questione Giustizia, Nello Rossi.
Si torna a parlare di prescrizione. Secondo lei è necessario o un mutamento andrebbe a stressare il sistema?
Fabbrica di San Pietro? Tela di Penelope? Fatica di Sisifo? Per descrivere la vicenda legislativa della prescrizione si deve ormai ricorrere alle metafore “stanche” che designano l’eterno lavorio, il rifacimento dell’appena fatto, la riscrittura del già deciso. In una materia come quella della prescrizione, che avrebbe bisogno della massima certezza e stabilità, si sono succedute dal 2017 al 2021 ben tre riforme – la Orlando, la Bonafede e la Cartabia – terremotando il sistema. È perciò comprensibile e fortissima la tentazione di dire “fermiamoci e valutiamo gli effetti dell’ultima legge, la n. 134 del 2021, prima di mettere di nuovo mano alla normativa sulla prescrizione”. Temo però che questa scelta, di apparente buon senso, non sia la migliore possibile.
Perché dice questo?
Perché ritengo che siano troppe, e troppo vistose, le falle del faticoso compromesso raggiunto nella legge Cartabia che ha mantenuto in primo grado la prescrizione sostanziale mentre ha introdotto l’improcedibilità dell’azione per superamento dei termini di durata massima dei processi di appello e Cassazione previsti nell’articolo 344 bis del codice di rito. È una soluzione che produrrà disuguaglianze, contraddizioni e irragionevoli disparità di trattamento tra i cittadini sottoposti a processo, dando molto lavoro alla Corte costituzionale.
Può chiarire meglio le ragioni del suo pessimismo?
Vi saranno processi rapidamente definiti in primo grado che potranno estinguersi per il mancato rispetto dei termini per la celebrazione dei giudizi di impugnazione ( in particolare di appello) quando sarà ancora lontano il termine della prescrizione sostanziale. Così come vi saranno processi che si concludono in primo grado a ridosso della scadenza del termine di prescrizione sostanziale e che verranno prolungati, oltre il termine dell’oblio sociale da questa regolato, a causa dell’entrata in funzione degli ulteriori termini procedurali previsti per i giudizi di appello e di Cassazione, assistiti dalla sanzione dell’improcedibilità. In sostanza l’addizione di “prescrizione sostanziale” in primo grado e “prescrizione processuale” nei giudizi di impugnazione può dar vita ad effetti iniqui e paradossali. Per non parlare dei dubbi di costituzionalità del farraginoso regime delle proroghe della improcedibilità e dell’inedito potere attribuito al giudice di prolungare la durata dei giudizi di impugnazione più complessi. Un potere, questo, foriero di incertezze sui tempi dei processi e, in determinati contesti sociali, anche di gravi rischi per i magistrati.
Allo studio della Camera ci sono tre proposte di legge. Quelle di Costa e Maschio prevedono di lasciar correre i due orologi: quello della prescrizione e quello dell'improcedibilità. Che ne pensa?
Si è di fronte a proposte interessanti anche perché provengono da deputati di forze politiche diverse e potrebbero stimolare una soluzione condivisa, e perciò durevole, in tema di prescrizione. Positive nella parte in cui propongono di far rivivere la riforma Orlando, queste proposte divengono però contraddittorie quando non contemplano l’abrogazione dell’articolo 344 bis del codice di rito e prefigurano la “coesistenza” tra il meccanismo della riforma Orlando ( temporanea sospensione della prescrizione nei giudizi di impugnazione) e il congegno estintivo dell’improcedibilità dell’azione introdotto dalla riforma Cartabia. Pare di capire che tra i due orologi finirebbe con il prevalere quello che segna per primo la fine del processo. Ma è un ibrido insostenibile tanto per le “ulteriori” contraddizioni di natura sistematica che introdurrebbe nella disciplina della prescrizione quanto per gli effetti, imprevedibili, che la descritta “coabitazione” produrrebbe a contatto con la multiforme realtà dei giudizi e delle loro vicende temporali. Nel regime della prescrizione c’è bisogno di soluzioni semplici e lineari e non di nuove complicazioni.
La proposta Pittalis invece propone di tornare al regime anteriore a quello “Orlando” con l'abrogazione dell'improcedibilità. Che valutazione dà?
La relazione alla proposta di legge Pittalis mi sembra molto avvertita sul piano teorico e, tra l’altro, rievoca lucidamente le ragioni, del tutto contingenti, che nel 2021 hanno costretto ad affiancare alla “prescrizione sostanziale” la novità assoluta dell’improcedibilità dell’azione operante nei giudizi di impugnazione: l’ostinata volontà dell’allora partito di maggioranza relativa di proteggere “almeno sul piano linguistico la cosiddetta riforma Bonafede, opponendosi a qualsiasi istituto che contenesse la parola prescrizione”. Ma la proposta Pittalis non sembra farsi carico di un problema reale: garantire lo spazio temporale per l’effettivo svolgimento dei giudizi di impugnazione, responsabilizzando fortemente i giudici delle impugnazioni e stimolando la celerità di tali giudizi.
Secondo lei quale sarebbe la migliore via da percorrere consapevoli comunque che sia la maggioranza che il Terzo polo che lo stesso ministro Nordio sono decisi a cambiare l'attuale sistema?
Dopo che tante intelligenze si sono a lungo esercitate nella ricerca di un adeguato regime della prescrizione nessuno – e tanto meno io - può pretendere di avere in tasca la soluzione migliore, perfettamente risolutiva di così annosi contrasti. È preferibile perciò orientarsi verso la scelta che ha le maggiori chance di essere ampiamente condivisa e che presenta le minori controindicazioni.
E quale sarebbe?
Le rispondo con due considerazioni ispirate al più assoluto pragmatismo. Da un lato le proposte di legge Costa e Maschio hanno come opzione principale il ritorno alla disciplina della prescrizione contenuta nella legge Orlando ( e, in vista del raggiungimento di questo obiettivo centrale, i proponenti potrebbero rinunciare a mantenere in vita l’istituto della improcedibilità dell’azione). Dall’altro lato il Partito democratico non dovrebbe avere difficoltà a convergere su di una normativa, in sé ragionevole, che reca la firma di un suo autorevole esponente. La via più lineare ed agevole sembrerebbe dunque quella di rimettere indietro le lancette dell’orologio al 2017 ed alla riforma Orlando - la legge numero 103 del 2017 puntando ad ottenere un consenso più ampio dell’attuale maggioranza. Una strada praticabile anche perché la cosiddetta prescrizione processuale è lungi dall’essere entrata nella fase dell’applicazione sistematica e generalizzata. Raggiungere oggi una scelta largamente condivisa consentirebbe, tra l’altro, di imporre una lunga moratoria a nuovi esperimenti “riformatori” e favorirebbe il recupero della stabilità e della certezza smarrite da tempo. E ciò in sintonia con la fondamentale aspirazione di chi opera ogni giorno sul campo: che la normativa in tema di prescrizione cessi di essere terreno di scontri pregiudiziali delle forze politiche e recuperi la sua razionalità.