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“La tela di Penzeri”, “La nuova tangentopoli Ue”, “Italian connection”. È solo una parte dei titoli usciti in questi giorni sull’inchiesta della procura di Bruxelles per la sospetta corruzione che sta travolgendo l’Europarlamento. Come è noto si parla di presunte mazzette per influenzare le decisioni sui mondiali in Qatar. Secondo gli inquirenti il Qatar avrebbe infatti messo in piedi una rete di lobbying e corruzione per evitare “approfondimenti”, diciamo così, sulle sistematiche violazioni dei diritti umani e civili e per spingere gli Europarlamentari a votare a suo favore, o quantomeno a non ostacolare l’assegnazione dei mondiali. Il che ci porta su un piano delicatissimo: la tentazione degli inquirenti di utilizzare il voto di un parlamentare come un indizio che dimostri la sua presunta corruzione, rischia infatti di mettere in discussione la libertà di mandato dei nostri europarlamentari, caposaldo democratico che in Italia è sancito dall’articolo 67 della Costituzione: scritto e concepito proprio per garantire l’assoluta libertà di espressione ai membri del Parlamento. Naturalmente la stampa italiana si è fiondata sulla notizia. I giornali di destra, cancellando in men che non si dica 20 anni di onorata carriera garantista, hanno immediatamente ricamato sull’appartenenza politica (sono tutti di sinistra) dei personaggi coinvolti nell’inchiesta. E così gli indagati sono diventati colpevoli e il gruppo dei socialisti europei è divenuto - come ha scritto Maurizio Belpietro su La Verità - la centrale operativa, la sorta di “spectre” che gestisce “quel legame oscuro tra affari e diritti umani”. I giornali di sinistra, invece, sedotti dalla nostalgia di Mani pulite, hanno prima paragonato il giudice istruttore Michel Claise, il titolare dell’inchiesta, al nostro Tonino Di Pietro, per poi lanciarsi verso una intemerata contro la riforma sulle intercettazioni annunciata dal ministro Nordio: “Senza la possibilità di intercettare non avremmo mai scoperto il marcio di Bruxelles", hanno tuonato. Equazione forse un tantino provinciale - come lo è l’abitudine di piegare ogni evento estero al paludato dibattito nostrano - e di certo assai spericolata. Nordio, infatti, non si è mai sognato di proibire le intercettazioni. Il Guardasigilli ha solo chiesto che tornino entro un alveo costituzionale. Ovvero che tornino a essere strumento di indagine e non prova e che vengano ben custodite nelle casseforti delle procure onde evitare lo “spiacevole inconveniente” di rovinare la vita alle persone coinvolte attraverso lo sputtanamento a mezzo stampa. Davvero è chiedere troppo?