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La maggioranza non partecipa alla riunione della Giunta per le autorizzazioni del Senato, con all'odg il voto sulla richiesta di procedere contro l'ex ministro Salvini.
La spiegazione del gesto illustrata dai quattro capigruppo di maggioranza è altisonante, tinta di indignazione etica. Volano addirittura le parole ' convocazione illegittima', pronunciate dal capogruppo del Pd Marcucci. Essendo la stessa presidente del Senato Casellati oggetto della pesante accusa, l'addebito è davvero estremo. «Non si possono piegare le istituzioni a uso strumentale», tuonano i rappresentanti della maggioranza. E non basta. I senatori della Giunta, aggiungono i quattro capigruppo, non hanno potuto farsi un'idea precisa del caso perché il presidente della medesima Giunta Gasparri, anche lui nel mirino con la Casellati, ha rifiutato l'approfondimento di indagine chiesto dai gruppi di maggioranza. Messe così le cose sembra di trovarsi in una situazione se non proprio da golpe certo grave, marcata da profonda scorrettezza tesa a incidere su una decisione così importante.
Invece è teatro, sceneggiata, recita a soggetto, con l'esortazione di sovraccaricare i toni, di rendere la pièce drammatica. In ballo, per la maggioranza, non c'è la sacralità delle istituzioni come non c'è la necessità di approfondire una vicenda sulla quale la decisione, finale e irrevocabile, di votare a favore dell'autorizzazione è già stata presa.
C'è solo il calcolo elettoralistico in base al quale votare l'autorizzazione in Giunta prima delle elezioni di domenica sarebbe controproducente, forse esiziale. I toni alti mascherano ragionamenti che dire terra terra è molto poco.
La Lega non è migliore dei rivali. Salvini sa che ormai il processo è inevitabile. Il voto dell'aula, probabilmente il 17 febbraio, è già scritto e non ci saranno sorprese. Quindi vuole almeno portare a casa il facile strumento di propaganda elettorale. Mira a dipingersi come martire prima e non dopo il 26 gennaio.
Quindi propone di votare in giunta contro la sua stessa memoria difensiva, quindi a favore dell'autorizzazione. Non ha niente da perdere e tutto da guadagnare. Quindi anche lui ci va giù di brutta con la retorica: «Per rimanere libero sono pronto ad andare in prigione. Se devo andare in galera lo faccio a testa alta». Nel complesso è difficile ricordare un punto più basso raggiunto dal Parlamento: forse solo il voto della vergogna su Ruby ' nipote di Mubarak'. La faccenda in sé, infatti, sarebbe più che rilevante, dal momento che non capita tutti i giorni e neppure tutti i decenni che un ministro rischi la galera non per qualche malversazione ma per gesti compiuti ' nell'esercizio delle proprie funzioni'. Un passo del genere avrebbe richiesto, da una parte e dall'altra, massima serietà, persino punte di austerità. Anche elettori mediamente informati si sono ritrovati invece in un labirinto fatto di duelli in punta regolamento, tatticismi, mosse e mossette più furbe che astute poco consone alla solennità dell'evento e, al contrario, tali da ridurlo a una grottesca pochade.
Il caso della nave Gregoretti si rivela già ora una chiave che rivela in pieno la realtà della situazio- ne complessiva. Tutto, dalla Costituzione alla giustizia, è stato piegato a gioco tattico nel quale i contenuti e la sostanza non contano più niente e la pura delle elezioni politiche da un lato, il tentativo di arrivare a quelle stesse elezioni il prima possibile dall'altro, fanno premio su tutto. Ma la recita allestita sia dalla maggioranza che dall'opposizione intorno a questa vicenda, che ha raggiunto ieri vertici inauditi, dice qualcosa di più sul rapporto tra politica e Paese. La propaganda è sempre stata una componente essenziale della politica.
Mai prima d'ora però aveva raggiunto un simile livello di primazia da un lato e di autonomia dall'altro. E' ormai una propaganda totalmente slegata anche dall'ultimo lembo di realtà e che tuttavia determina e riordina ogni scelta politica.
Un simile impero della propaganda si basa per necessità sull'assunto che gli elettori non possano capire, non siano in grado di capire. Che favole come quelle che hanno raccontato ieri tutti siano prese per buone da elettorato pronto a digerire tutto. Forse la chiave della crisi italiana andrebbe ricercata prima di tutto proprio in questa convinzione, condivisa da tutte le forze politiche, che il popolo che dovrebbero rappresentare sia composto da allocchi.