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Ministro degli Esteri del primo governo Berlusconi e della Difesa nel secondo, Antonio Martino è stato tra i fondatori di Forza Italia e uno dei promotori della rivoluzione liberata lanciata 25 anni fa. Allievo di Milton Friedman, l’economista messinese tentò già nel ’ 94 di introdurre la flat tax in un clima di scontro tra gli alleati del centrodestra, che ricorda da vicino la situazione attuale.
Onorevole, anche se i due hanno smussato i toni, il duello a distanza tra Berlusconi e Salvini sul deficit continua a tenere banco. Si tratta di schermaglie elettorali o di divaricazioni che mettono a rischio la coalizione?
Si tratta indubbiamente di questioni molto serie. Nel segnalare l’eventuale necessità di uno sforamento, Salvini in fondo esprime da euroscettico l’insoddisfazione di molti verso il tetto del deficit: sono molti i meccanismi dell’euro che meriterebbero una messa a punto. Berlusconi dal canto suo si muove più cauto, proprio come si deve a un esponente del Partito popolare europeo.
La distanza tra i due si innesta su progetti politici per il futuro differenti?
No, credo di poter escludere che sia questa la vera posta in gioco.
La certezza è che il debito pubblico è aumentato di altri 210 miliardi negli ultimi 5 anni. È la consapevolezza di aver margini stretti, il vero discrimine che separa la cautela di Berlusconi dall’” avanguardismo” della Lega?
La situazione finanziaria è complicata da tempo, non c’è alcun dubbio. Ma è normale che ci siano differenze su come procedere di qui in avanti. Salvini pone questioni giuste: i meccanismi che regolano l’euro già da tempo hanno evidenziato aspetti problematici che dovrebbero essere rivisti. Ma ciò non vuol dire tout court, come paventa la Lega, che bisogna uscire dall’euro. Sarebbe una mossa forzata e rischiosa, che va scongiurata.
Le divisioni riguardano anche le privatizzazioni. Berlusconi le ha annunciate, ma Salvini punta i piedi e spiega che non sono nel programma.
Fu un problema che si manifestò anche nel 1994. Allora il piano fu bloccato dai nostri alleati. Il ragionamento che fermò tutto fu questo, grosso modo: “Siamo al governo e le aziende le controlliamo noi, siamo pazzi a voler privatizzare? ”.
Molti fanno notare che le divisioni nel centrodestra sono sempre esistite. Ma rispetto a 25 anni fa, c’è un terreno di scontro importante come quello dell’Europa. L’alleanza di oggi può resistere a tensioni tanto forti?
È vero. Lo scenario di oggi è molto differente rispetto a quello del 1994. Ma è pur vero che Fini e Bossi allora neanche si parlavano: Berlusconi compì un autentico miracolo nel tenere insieme gli alleati, anche grazie al pericolo comunista che riuscì ad aggregare i protagonisti della coalizione. A ben pensarci, la distanza tra Forza Italia e la Lega era maggiore allora in fondo, rispetto a quella che le due forze politiche fanno segnare oggi. Credo perciò che Berlusconi saprà replicare l’impresa di 25 anni fa.
Oggi ci sono in campo quelli che Berlusconi definisce i nuovi comunisti: i grillini. Che cosa ne pensa del loro programma che a detta di Di Maio realizzerà finalmente la rivoluzione liberale?
I pentastellati hanno capito che dovevano diluire il loro programma, per nutrire qualche speranza di avere successo. Il referendum sull’euro lo hanno messo da parte, ed è stata una scelta sensata. Trovo però ridicolo da parte loro presentarsi come gli eredi della rivoluzione liberale: non hanno quella storia né quella ispirazione.
Per tornare al centrodestra si discute molto di quella flat tax che lei propose di introdurre nel ’ 94. Oggi può funzionare o è insostenibile come segnalano molti?
È falso che non ha funzionato. La flat tax ha dato ottimi risultati ovunque. È peraltro una misura che non ha un costo: la flat tax rende, non costa qualcosa.
Dicono che nel primo anno produce effetti negativi sul gettito fiscale. È così?
Può succedere, ma anche non succedere. Non è un esito inevitabile, né tanto meno necessario. Il vero punto è che in Italia c’è un problema drammatico di lungo periodo, che è quello della denatalità. In un elenco di 221 Paesi, siamo al 216esimo posto per tasso di natalità. In assenza di un vero shock economico, la nostra economia non potrà ripartire.
Sono molti i partiti che dicono che bisogna tornare a spendere in deficit. Altri, come il Pd, sono orientati invece verso politiche più prudenti. Alla luce di un debito aumentato nonostante i vincoli di bilancio rigidi, chi ha ragione?
Se c’è un dato solido, è che la prospettiva keynesiana è stata sbugiardata dalla storia. Nessun Paese è mai cresciuto facendo debiti: non è un’opinione, ma una certezza comprovata dagli studi economici. Non si tratta perciò di essere più o meno prudenti, ma di cercare di dare all’economia reale una vera scossa. Dobbiamo tenere presente che il quantitative easing di Draghi, produrrà i suoi effetti a lungo termine. La politica monetaria agisce infatti con ritardo sull’economia reale. Ecco perché la nostra ripresa si muove ancora nell’ordine di pochi decimali. La liquidità immessa dal governatore della Bce nel sistema non è entrata infatti in circolazione per il semplice fatto che nessuno prende denaro in prestito. Quando l’esito degli investimenti è tassato in misura eccessiva, la gente è riluttante a investire perché la maggior parte dei profitti gli viene portata via dal fisco. Ecco perché un’aliquota unica bassa è lo shock che serve al Paese: renderebbe convenienti molti tipi di investimento che oggi non lo sono.
L’aliquota unica al 23 per cento proposta da Berlusconi potrebbe essere più sostenibile rispetto a quella al 15 di Salvini?
Se osserviamo il rapporto che lega il gettito di tutte le imposte dirette a quello del prodotto interno lordo, scopriamo che il primo incide sul secondo in una misura inferiore al 23 per cento. L’aliquota unica farebbe dunque aumentare il gettito da subito. Molti più ricchi sarebbero propensi a pagare le tasse per intero, invece di eludere o erodere la base imponibile.
È un’analisi che solleva un’obiezione fatta da molti. Se la cosa funziona, perché lei e il governo Berlusconi di cui faceva parte non ha fatto la rivoluzione liberale nel ’ 94, e neanche nel 2001?
È una lunga storia. Ed è anche abbastanza triste. Per riassumerla, mi limito a dire che noi di Forza Italia non andammo al governo da soli, ma con gli alleati. Allora proposi di introdurre la flat tax gradualmente, ma Berlusconi insistette per introdurla da subito a pieno regime. Come che sia, la misura fu sottoscritta da tutti, ma poi gli alleati si rifiutarono di applicare il programma. Accadde così anche per le privatizzazioni: An le osteggiò con forza.
E oggi trova che i tempi siano maturi, dato che - almeno su questo Salvini concorda con Berlusconi?
Oggi i tempi sono maturi. L’unica vera difficoltà è che la misura si espone a critiche gratuite, che spesso inducono la gente a considerarla come un favore ai ricchi. È il caso di Padoan ad esempio, che ha definito la flat tax come la misura della “fatina azzurra”: la classica risposta di un anonimo burocrate che non ha neanche la fantasia di togliere lo sguardo dal suo lavoro quotidiano.
Gentiloni intanto chiude le porte alle larghe intese con Berlusconi dopo il voto. Ma se non vince il centrodestra, l’alternativa quale sarebbe se non un governo del M5s più alleati vari ed eventuali?
È un problema che mi sono posto anch’io: se questo Paese non manda in Parlamento una maggioranza, ci sarà il problema di fare un governo. Il punto è che le larghe intese sono il tipo di governo che vuole Grillo: attaccare destra e sinistra unite gli consentirebbe di presentarsi come unica alternativa. Per scongiurare quindi l’eventualità di un governo a Cinque Stelle, ritengo quindi che oggi sia meglio non alimentare questo tipo di propaganda.