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L’International Bar Association (Iba) è stata fondata nel 1947 e raggruppa gli avvocati di tutto il mondo. Sono circa 80mila gli iscritti. Ne fanno parte studi professionali, ordini e società di diritto di 170 Paesi. In Italia sono soci dell’Iba il Cnf e i Coa di Roma e di Milano. Da sempre il sodalizio collabora con organizzazioni internazionali come l’Onu e l’Ocse. Tra le iniziative più significative promosse dall’Iba ricordiamo quelle in Afghanistan. Qui è stato realizzato un progetto volto alla creazione di un ordine indipendente degli avvocati afghani. Tutto, però, rischia di essere vanificato con il ritorno dei talebani. Abbiamo parlato di questo e di altro con il direttore esecutivo dell’Iba, Mark Ellis.
Avvocato Ellis, cosa vi ha spinto a intervenire in Afghanistan?
Nel 2004, quando l'Afghanistan era un Paese relativamente stabile, l'Iba ha iniziato a lavorare con gli avvocati presenti lì. Dopo una serie di approfondimenti, abbiamo deciso di sostenere la creazione di un'associazione forense. Le nostre attività a livello internazionale hanno portato nel 2008 alla creazione dell'Associazione degli avvocati indipendenti dell'Afghanistan. È stato un grande risultato. Gli avvocati afgani hanno tenuto molti incontri con i loro colleghi presenti nelle province più sperdute per convincerli sulla necessità di un Ordine che regolasse la professione legale in tutto il Paese e, nel frattempo, li mettesse in contatto e li parificasse con i loro colleghi stranieri. Tutto, purtroppo, è stato bloccato nell’agosto scorso, quando le collaborazioni con le ' potenze straniere' sono state considerate un crimine dai talebani. I diritti umani fondamentali, compreso quello delle donne a ricevere un'istruzione, nonché la libertà dei media, sono stati spazzati nel giro di poco tempo.
Come saranno protetti gli avvocati e i giuristi afghani?
Ogni giorno riceviamo messaggi dai nostri colleghi in Afghanistan che ci raccontano di minacce e rappresaglie violente perpetrate dai talebani. Violenze su persone che hanno promosso lo stato di diritto, i diritti umani e la democrazia. In particolare, le donne giudici, le avvocate e le attiviste per i diritti umani corrono i rischi maggiori, perché hanno sostenuto i principi dello stato di diritto o perché si espresse contro l'ideologia talebana.
Molte di queste donne sono state costrette a nascondersi, dato che gli uomini che avevano fatto imprigionare sono stati liberati dai talebani. Molti ex prigionieri, condannati per reati come il traffico di droga e la violenza contro le donne, hanno inviato messaggi agghiaccianti, pesanti minacce. L'Istituto per i diritti umani dell'Iba (Ibahri, ndr) sta lavorando con i partner per favorire l'evacuazione di queste donne. La baronessa Helena Kennedy, che si occupa di diritti umani nella nostra associazione, ha lanciato un appello urgente, la campagna # EvacuateHer, affinché tutti gli Stati forniscano a queste persone coraggiose e alle loro famiglie un rifugio sicuro all'estero.
Non solo Afghanistan. Gli avvocati corrono seri rischi anche in altri Paesi?
Sfortunatamente, i diritti fondamentali vengono quotidianamente erosi in molti altri luoghi. In Myanmar, con il recente colpo di Stato abbiamo assistito a gravi violazioni dei diritti umani. L'esercito ha aperto il fuoco sui manifestanti disarmati, uccidendoli, perché stavano protestando. In Europa non mancano situazioni preoccupanti. Mi riferisco, per esempio, alla Bielorussia, dove il dissenso è stato e viene tuttora violentemente schiacciato. La stessa cosa è successa a Hong Kong, un tempo baluardo delle libertà democratiche. Il diritto alla manifestazione pacifica non esiste più, il dissenso e le libertà dei media sono stati calpestati con il pretesto della legge sulla sicurezza nazionale di recente introduzione in Cina. C’è una preoccupante tendenza verso l'autoritarismo in alcune democrazie, con regimi autoritari consolidati, che sono incoraggiati a reprimere ulteriormente le loro società. È molto preoccupante che lo stato di diritto e le sue strutture, tribunali, polizia e apparati di sicurezza, vengano utilizzati per esercitare un controllo repressivo. La pandemia, poi, ha fornito la scusa, in America Latina, in India e in Pakistan per impiegare una legislazione di emergenza e comprimere ulteriormente i diritti umani. Questi problemi vengono affrontati dall'Iba e dall'Ibahri, con una costante sensibilizzazione delle Nazioni Unite e del Parlamento europeo.
L’Iba collabora con l'avvocatura italiana. Di cosa vi occupate?
Abbiamo una proficua collaborazione. È importante ricordare che nel biennio 1991- 1992 il presidente dell'Iba è stato un avvocato italiano, Giuseppe Bisconti, e attualmente l'avvocato Claudio Visco ricopre la carica di Segretario generale. La nostra conferenza annuale si è tenuta nel 2018 a Roma e lo scorso anno abbiamo lanciato, partendo proprio dall’Italia, il nostro rapporto, denominato “Us Too?”, sul bullismo e le molestie sessuali nella professione legale. Il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma ha ospitato la trentesima tappa della campagna di promozione del rapporto, che si è svolta in tutto il mondo. L'evento di Roma è stato molto seguito e gli avvocati italiani hanno mostrato grande attenzione verso le nostre iniziative.
In questo particolare momento storico le avvocature di tutto il mondo devono collaborare sempre di più?
Il mondo sta affrontando innumerevoli sfide connesse a diversi temi. Si pensi al cambiamento climatico, alla tutela dell’ambiente, ai flussi dei rifugiati, al Covid- 19, agli attacchi costanti ai diritti umani. Il mondo è in continuo movimento e il momento critico che ci riguarda tutti richiede di prendere decisioni senza perdere tempo.
Ecco perché la professione legale, a livello globale, ha un ruolo importante per affrontare i problemi appena richiamati. Bisogna unire le forze, dato che gli obiettivi non possono essere raggiunti in maniera isolata. Per questo ritengo fondamentale una sempre maggiore collaborazione internazionale e intersettoriale nell’avvocatura.