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Secondo Marco Tarchi, politologo dell’università di Firenze, tra gli alleati di centrodestra c’è «un’evidente concorrenza, e talvolta divergenza, nelle ambizioni, nei programmi e nelle modalità di azione» e questo «è un handicap strutturale, a cui nessun incontro può rimediare, se non provvisoriamente». Secondo il professore un eventuale “federatore” «servirebbe soprattutto ad imbrigliare Salvini e Meloni».
«Un Prodi di centrodestra? Chi lo invoca vuole solo imbrogliare Salvini e Meloni»
Secondo Marco Tarchi, politologo dell’università di Firenze, tra gli alleati di centrodestra c’è «un’evidente concorrenza, e talvolta divergenza, nelle ambizioni, nei programmi e nelle modalità di azione» e questo «è un handicap strutturale, a cui nessun incontro può rimediare, se non provvisoriamente». Secondo il professore un eventuale “federatore” come fu Romani Prodi per l’Ulivo «servirebbe soprattutto, se non solo, ad imbrigliare Salvini e Meloni e liquidare le loro rispettive ambizioni di leadership».
Professor Tarchi, ieri la coalizione si è ritrovata in un vertice a tre Meloni, Berlusconi e Salvini e dal comunicato che ne è seguito i leader «da ora in poi avranno incontri settimanali». È stata la mancanza di unità a determinare la sconfitta elettorale alle Amministrative?
Salvo alcuni specifici casi, in cui ci sono state presentazioni di liste distinte, direi di no. Lungo tutta la campagna elettorale, gli esponenti della coalizione hanno tenuto ad affermare il comune sostegno ai candidati scelti. L’episodio del mancato incrocio fra Meloni e Salvini alla presentazione di Bernardo a Milano, per quanto enfatizzato mediaticamente, non smentisce questo dato di fatto. Dietro questa convergenza pubblica c’è però un’evidente concorrenza, e talvolta divergenza, tra gli alleati: nelle ambizioni, nei programmi e nelle modalità di azione. È un handicap strutturale, a cui nessun incontro può rimediare, se non provvisoriamente.
Il voto ha certificato la vittoria del centrosinistra e di Letta e la sconfitta del Movimento. Conte è destinato a fare da gregario al Pd?
Sicuramente. Ed è un destino che era già scritto nel momento in cui il M5S ha snaturato la propria identità decidendo di allinearsi a una dinamica bipolare del sistema politico. Questa scelta sarà una scappatoia per il ceto politico semiprofessionale che si è formato nei gruppi parlamentari, ma determinerà un graduale ulteriore declino dei consensi: già lo dimostra il fatto che tre quarti degli elettori di Virginia Raggi si sono rifiutati di convergere su Gualtieri al ballottaggio. Al momento, il Pd ha una convenienza a valorizzare l’accordo ( parziale) con gli ex grillini per ragioni d’immagine, ma al momento opportuno potrebbe sbarazzarsene senza subirne danni.
Crede anche lei che alla coalizione di centrodestra serva un federatore, come fu Prodi per l’Ulivo, visto che Berlusconi non è più in grado di assumere quel ruolo?
No. Già in passato si è verificato che l’eterogeneità della compagine è tale per cui costringerla nella camicia di Nesso di una federazione non farebbe altro che moltiplicare i fattori potenziali di attrito, portandoli vicino all’esplosione. A parte il fatto che di questo mitico nuovo uomo della Provvidenza non si vede, sin qui, nemmeno l’ombra, non c’è dubbio che la sua comparsa, ovviamente come campione dei “moderati”, servirebbe soprattutto, se non solo, ad imbrigliare Salvini e Meloni e liquidare le loro rispettive ambizioni di leadership. E avrebbe l’effetto di rendere ancora più confusa e sfuggente l’identità delle stesse formazioni che compongono questo aggregato. Non è un caso che a invocare questa figura siano organi di stampa e ambienti economici che auspicano, in caso di un insuccesso del Pd, che resta la loro prima opzione, di trovare un veicolo più affidabile dei loro interessi. Se Lega e Fratelli d’Italia si prestassero a questo gioco, avrebbero tutto da perdere. Anche se probabilmente Giorgetti non la pensa così.
Nel comunicato congiunto della coalizione si legge che i tre partiti lavoreranno insieme in vista dell’elezione del presidente della Repubblica. In che modo i nuovi equilibri potrebbero influenzare la scelta riguardo al successore di Mattarella?
Questo è un punto, al momento, poco chiaro. A meno di non ipotizzare che già sin d’ora si siano ufficiosamente gettate le basi di un accordo con il centrosinistra, o una parte di esso, per giungere a un’elezione semi plebiscitaria di una figura formalmente super partes, e in questo caso non vedo nessuno più adatto al ruolo di Mario Draghi, con il suo attuale peso nell’assemblea che eleggerà il nuovo Presidente il centrodestra non potrebbe fare altro che sostenere un candidato di bandiera nelle prime votazioni, sperando di aggregare qualche consenso nella dispersa pattuglia dei tanti senza partito oggi presenti in Parlamento. Che una manovra del genere possa portare a raggiungere il quorum fissato è estremamente improbabile. Quindi, o è solo un tributo formale a Berlusconi per rendere meno amaro l’inverno del patriarca, oppure si deve tornare alla prima delle ipotesi che ho espresso.
Quale che sia il nuovo inquilino del Colle, subito dopo si dovrà parlare di legge elettorale e Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia si impegnano anche a lavorare per una di stampo maggioritario. Sarà questo il principale terreno di scontro tra le forze politiche da qui al 2023?
Forse non il principale, dato che sul tappeto ci sono le numerose riforme collegate al Pnrr, su cui non sarà facile trovare una reale condivisione, ma, se davvero si deciderà di ingaggiare la battaglia su questo versante, di scontri ce ne saranno. Nello scenario attuale, che dopo l’esito delle elezioni amministrative si è fatto un po’ più incerto, nessuna delle coalizioni concorrenti può permettersi di trascurare il peso di attori secondari, ma non facilmente inglobabili in listoni unici: Italia viva, Azione, + Europa, Leu, i partitini virtuali di Toti e Brugnaro o di Lupi, l’Udc e via enumerando. A molti di costoro, per non parlare dei Cinque Stelle, una cancellazione del sistema proporzionale andrebbe di traverso. Inoltre, parlare di una legge «di stampo maggioritario», in sé, dice poco: le opzioni restano molte, ognuna con effetti diversi. Un uninominale a turno unico sarebbe una sorta di roulette russa; il doppio turno riproporrebbe la competizione intra- coalizionale. E poi, nel modello auspicato rimarrebbe una quota proporzionale oppure no? E di quale entità? Non mi pare che nel centrodestra ci siano idee chiare né univoche in proposito. Per adesso, sono soltanto parole in libertà.