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Sì, fu lui a inventare la figura del magistrato sceriffo, del Pm combattente, l’eroe che sbaraglia il male, i malvagi, i corrotti. La cui immagine campeggia sui giornali e in Tv. E che poi si autonomina capopopolo e entra in politica con fare da Peròn. Prima di Di Pietro questo personaggio non esisteva.
Poi vennero i tanti figliocci di Di Pietro. Ma nessuno col suo carisma, col suo piglio. Per esempio De Magistris, per esempio Ingroia, per esempio Emiliano. E ora, ultimo della serie, Piero Grasso. I magnifici cinque. Non tutti uguali. Non tutti con la stessa carriera e robustezza professionale. Tutti però con la medesima idea in testa. Che il consenso - ingrediente fondamentale della politica, e quindi del potere - non si conquista con un programma, con una strategia, con un sistema di idee, ma si conquista con la spettacolarizzazione della propria figura; e una interpretazione populista del ruolo del magistrato può aiutare moltissimo. Magistrati capopopolo: stavolta tocca a Grasso
Per ora sono cinque, ma piccoli Di Pietro crescono. In fila ci sono molti aspiranti. Per esempio Di Matteo, per esempio Davigo.
Di Pietro irrompe sulla ribalta della grande politica subito dopo la più importante inchiesta politico- giudiziaria di tutti i tempi. “Mani Pulite”. Che porta il suo marchio ed è frutto del suo ingegno. Anche altri magistrati collaborarono con lui ( come Borrelli, come Davigo) ma senza Di Pietro e le sue straordinarie capacità di inquisizione e di dominio della scena, “Mani pulite” si sarebbe fermata prima di cominciare. Come era successo con decine di altre inchieste, che sfioravano il potere politico, affossate nei decenni precedenti. Di Pietro prima di tutto rase al suolo il palazzo, minacciando persino i templi della grande economia e della Finanza. Poi decise di lasciare la magistratura, dopo aver ferito a morte Craxi, Forlani, Martelli, La Malfa, De Mita, e un altro centinaio di dirigenti politici medi o alti. A quel punto si mosse con circospezione, respingendo una proposta della destra, accettandone una della sinistra e alla fine mettendosi in proprio e creando un partito che ebbe un ruolo decisivo negli equilibri del centrosinistra fino al giorno che un nemico imprevisto ( Milena Gabanelli) decise di eliminarlo usando uno strumento che di Pietro conosceva bene: la Tv. E in una trasmissione Tv lo accusò di disporre di troppe case ( anche se non era vero) e in pochi giorni fece in modo che i sondaggi, che ormai lo davano al 10 per cento, scendessero al 2, spalancando la porta a Beppe Grillo.
De Magistris seguì una strada diversa. Non disponeva certo delle stesse capacità investigative di Di Pietro, si lanciò lo stesso in una grande inchiesta che catturò l’attenzione dei mass media. Mise sotto accusa mezza Calabria e un po’ di Campania e Basilicata, con l’inchiesta Why Not. Titoli in prima pagina centinaia, condanne zero. Ma non era quello che contava, e quando si presentò candidato per fare il sindaco di Napoli, stravinse nel tripudio popolare.
Di Ingroia si sa. Cercò di mettere a frutto le inchieste antimafia di Palermo, e soprattutto il processo per la famosa trattativa- stato- mafia. Ma gli andò male. Mise insieme un partitino che doveva riportare in vita il vecchio partito di Di Pietro più Rifondazione e altri. Restò sotto la soglia del 3 per cento alle elezioni del 2013, e niente Parlamento.
Infine Emiliano, ma la sua vicenda è ancora in viaggio. Anche lui faceva il magistrato in Puglia, ed era molto popolare. Diventò famoso e così riuscì a farsi eleggere prima sindaco di Bari e poi presidente della Regione. Ora punta in alto, probabilmente non ha rinunciato a succedere a Renzi alla direzione del Pd. Però l’operazione è ancora in alto mare.
Ed ecco, infine Grasso. Che sembra senza molti dubbi il nuovo leader della nuova formazione di sinistra nata in opposizione a Renzi. All’inizio si pensava che il leader di questa formazione potesse essere Giuliano Pisapia, ma Piero Grasso sembra avergli soffiato il posto.
Sarà un caso, naturalmente, ma forse no: Pisapia è un celebre avvocato garantista, Grasso invece è un magistrato.
E normale che le cose vadano così? E’ un’inventariabile conseguenza del nuovo corso della democrazia populista, che sta dilagando in Italia e non solo? La fusione tra populismo giudiziario e populismo politico è il destino immodificabile? E per la magistratura è un bene, o è una perdita di funzione e di autorevolezza?
Le lascio lì, queste domande. Ricordandomi però, forse perché sono vecchio, che una volta il rapporto tra magistratura e politica era diverso. Anche allora, ogni tanto, i magistrati entravano in politica, ma con intenzioni diverse e diverse ambizioni. Non dovete pensare che i magistrati siano solo persone in cerca di potere. Molti di loro non lo sono affatto.
Voglio raccontarvi una storia di una quarantina di anni fa. C’era un magistrato palermitano molto impegnato nelle indagini sulla mafia. Aveva fatto condannare all’ergastolo Luciano Liggio, uno tra più celebri e spietati capi della cupola. Lui si chiamava Cesare Terranova. Nel 1972 accettò di candidarsi al Parlamento per il Pci ed entrò in commissione antimafia. In quegli anni non esistevano i professionisti dell’antimafia. Non avevi nessun vantaggio a strepitare contro le cosche, anche perché né la politica né i giornali ammettevano l’esistenza di Cosa Nostra. Facevano finta che fosse una leggenda. Terranova decise di andare in Parlamento per denunciare. Non cercò mai di fare una carriera politica. Ancora in quegli anni, una volta, si rifiutò di pubblicare le liste di “proscrizione”, alla vigilia delle elezioni, anche se al suo partito sarebbe convenuto. Perché – disse – il compito della commissione antimafia non era quello.
Nel 1979 rinunciò alla candidatura e tornò a fare il magistrato. Forse sbagliando. La mafia non gli perdonò il suo impegno. Ha la memoria lunga Cosa Nostra. Il 25 settembre, un paio di mesi dopo aver abbandonato Montecitorio, stava guidando la macchina nel centro di Palermo, con a fianco la guardia del corpo, Lenin Mancuso. Gli sbarrarono la strada e iniziarono a sparare, coi fucili e conle rivoltelle. Lui cercò di fare marcia indietro ma gli furono addosso. Gli diedero il colpo di grazia alla nuca. Mancuso morì il giorno dopo.