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riccardo magi
Onorevole si torna a parlare di amnistia all'interno della più ampia cornice di riforma della giustizia. Lei è primo firmatario di un progetto di legge costituzionale n. 2456, ispirato al volume ' Costituzione e clemenza' curato da Pugiotto, Corleone, Anastasia. Di che si tratta?
È urgente riaprire un dibattito sul recupero dell'istituto dell'amnistia e dell'indulto, a 30 anni dall'intervento del Parlamento che nel 1992 di fatto lo sterilizzò, portando il quorum necessario per approvarli ai due terzi dei componenti di ciascuna Camera, che è superiore a quello che serve a modificare la stessa Costituzione. Attraverso questa proposta di modifica dell'articolo 79 Cost. - che attualmente ha raccolto le firme dei colleghi Giachetti, Migliore, Bruno Bossio, ma che spero trovi consenso anche tra quelli di Forza Italia - si vuole ridare praticabilità allo strumento, abbassando il quorum alla maggioranza dei membri del Parlamento e condizionando l’approvazione degli atti di clemenza a due presupposti tra loro alternativi: «situazioni straordinarie», ad esempio una pandemia che crea emergenza sanitaria in carcere, «ragioni eccezionali», legate anche ad una riforma radicale in ambito penale. Voglio per questo ringraziare la neo presidente di Magistratura Democratica che ha riportato questa questione nel dibattito. Segnalo anche che pochi giorni fa il senatore dem Zanda ha chiesto di riflettere sull'opportunità di adottare un atto di amnistia che accompagni la riforma del processo penale. Deve essere chiaro a tutti che non si può parlare realisticamente di amnistia se non si fa questa modifica costituzionale.
Diversi accademici, analizzando la riforma Cartabia, hanno messo in evidenza che sarebbe necessaria una seria depenalizzazione, su cui anche lei sta lavorando.
Partirei dalle parole della Ministra Cartabia nell'informativa sui fatti di Santa Maria Capua Vetere, quando ha chiesto di individuare le cause profonde del malessere del carcere. Allora non possiamo non partire dal chiederci chi è in carcere e perchè. Più di un terzo dei reclusi attualmente in carcere e dei nuovi ingressi sono lì per la violazione del Testo Unico sugli stupefacenti. Se a questi aggiungiamo i detenuti che sono negli istituti di pena per altri reati ma che sono tossicodipendenti arriviamo quasi alla metà dell'intera popolazione carceraria. Non avremmo il sovraffollamento se non fosse per i reati di droga. Si tratta di un dato macroscopico che non può mancare dalla riflessione sulla giustizia e sul carcere. Anche qui la presidente di Md ha colto il punto quando ha parlato della depenalizzazione per i reati legati al Testo Unico a partire dai fatti di lieve entità, per cui si finisce in carcere in sette casi su dieci. Casi come quello di Walter De Benedetto hanno dimostrato l'assurdità della legge vigente. Invece la riforma della Ministra Cartabia ha indicato la necessità che i reati di lieve entità non abbiano come esito il carcere affinché si possa avere un impatto deflattivo sia sulle carceri sia sulla giustizia. E proprio in questa direzione va il testo base depositato in commissione giustizia alla Camera - e spero che la prossima settimana venga adottato- un testo unificato di una mia proposta e di quelle della Licatini del M5S e di Molinari della Lega che riguarda esattamente la depenalizzazione dei fatti di lieve entità relativi alle droghe e che tocca un altro punto citato dalla presidente Barillà nella sua intervista e cioè la depenalizzazione della coltivazione domestica per uso personale di cannabis. Noi proponiamo anche la eliminazione delle sanzioni amministrative che si rivelano gravose soprattutto per i giovani, perché prevedono ad esempio il ritiro della patente o del passaporto.
Lei è stato autore della famosa interpellanza che ha stanato l'immobilità del ministro Bonafede sulle violenze di Santa Maria Capua Vetere. È invece soddisfatto della risposta dell'attuale Guardasigilli?
Dalla ministra e dal presidente Draghi abbiamo sentito parole chiare e importanti che prima non avevamo sentito. C'è stata anche una ammissione da parte della Guardasigilli: all'interno dell'amministrazione penitenziaria è mancata la capacità di indagare. Si tratta di una considerazione definitiva rispetto a quello che ci sentiamo continuamente ripetere quando presentiamo degli atti di sindacato ispettivo su ipotesi di fatti gravi che avvengono in carcere: nulla si può fare se la Procura non chiude le indagini. Adesso sappiamo che non è vero perché c'è un livello amministrativo e politico che può e deve approfondire.