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L’uno,il Bullo fiorentino, al secolo Matteo Renzi, ha “aperto” ai Cinquestelle e scongiurato lo scioglimento anticipato delle Camere dopo appena un anno e mezzo di legislatura. L’altro, Camaleo, perrubare il titolo di un famoso libro di Curzio Malaparte, al secolo Giuseppe Conte, ha chiuso la partita – manco a dirlo – a proprio vantaggio. Diversissimi, hanno in comune il culto di Nicolò Machiavelli. Di continuo pensano e ripensano alla famosa frase contenuta nel III capitolo del “Principe”: «Li uomini si debbono o vezzeggiare o spegnere; perché si vendicano delle leggieri offese, delle gravi non possono: sì che l’offesa che si fa all’uomo debbe essere in modo che non la teme la vendetta». E’ inutiledire che entrambi in questa crisi ministeriale più pazza del mondo, ne hanno fatto tesoro.Da politico consumato, in tutti i sensi, il Bullo, con il superego che si ritrova, ha ripensato a Talleyrand e al meritato posto nel “Dizionario delle banderuole” pubblicato a Parigi nel 1815.: «Non sono cambiato io, sono cambiati i tempi». Proprio così. Per un anno e passa il Bullo ha detto e ridetto: mai con i Cinquestelle. E ha accusato Nicola Zingaretti di fare l’occhio di triglia a Luigi Di Maio e compagnia cantante. Ha cambiato idea per seppellire un Matteo Salvini già tramortito da Camaleo il 20 agosto al Senato. E per scongiurare un ricorso alle urne, non a caso gradito a Zingaretti, che avrebbe ridotto al lumicino il numero dei parlamentari a lui fedeli. D’altra parte l’intelligenza politica del Senatore è fuori discussione. Luciano Violante, che non ha peli sulla lingua, ha detto che è pari alla sua disinvoltura. Ama a tal punto il segretario della Repubblica fiorentina che al “Ciocco” - dove ha riunito tanti giovani che confidano più che nel Pd nel Pdr, il Partito di Renzi del passato e forse del futuro gli ha dedicato una lezione. E, a quanto pare, è calato a tal punto nei suoi panni da parlare più di sé che di lui. Che Renzi sia uno dei vincitori della partita agostana non ci piove. A condurre le danze è stato più lui che il segretario del Pd. Gran brava persona, però mai così ondivago come adesso. Ogni volta che lui starnutiva, Zingaretti puntualmente si soffiava il naso. D’altra parte, non sembra che il Bullo abbia una particolare simpatia per il presidente del Consiglio. Ma ha capito che se non si puntava su di lui, tutto sarebbeandato a carte quarantotto. L’altro vincitore è Camaleo, un camaleonte gigante che si adegua mirabilmente alle circostanze. Si presenta una prima volta come avvocato del popolo. Con questa espressione, banale all’apparenza, intende sottolineare una netta contrapposizione alla Casta. Che ai Cinque stelle dà l’orticaria, a dispetto del fatto che ad essa sono riconducibili a pieno titolo. Una seconda volta, compiuta la metamorfosi del Conte 2 la Vendetta, si presenta come futurologo, portatore di un programma per il futuro: quasi che ne fossero concepibili per il passato. Anche qui non ci troviamo di fronte a una banalità. Perché Camaleo vuole significare che bisogna scordarsi del passato: come cantano a Napoli. Insomma, diavolo d’un uomo, è riuscito a cambiare maggioranza restando presidente del Consiglio. Com’è riuscito soltanto a Pietro Badoglio, ad Alcide De Gasperi e, sempre lui, a Giulio Andreotti. Lo ha ricordato Beniamino Caravita in un eccellente saggio dedicato ai due Conte.Sì, Camaleo ora ha vezzeggiato e ora ha spento. Ha spento il leader leghista, che per il vero ci ha messo del suo. Ha vezzeggiato Zingaretti quando gli ha detto che lui è di sinistra. Ha vezzeggiato pure il capo grillino quando gli ha sussurrato di non essere organico ai Cinquestelle, questono, ma di essere sempre stato vicino a lui e al partito. Concavo e convesso, a seconda delle circostanze. Ha condotto le trattative con perizia, ormai convinto del fatto che perfino la casalinga di Voghera stravede per lui. Ha dato la carota degli Esteri a Di Maio. Un ministero prestigioso ma un guscio vuoto. Perché l’esperienza ci dice che la politica estera e comunitaria la fanno il capo dello Stato e il presidente del Consiglio. E poi con l’incontro a Parigi con i gilet gialli, non propriamente degli angioletti, il leader pentastellato non ha fatto un figurone. Il Bullo e Camaleo, oggi alleati. Ma due galli nel pollaio della politica sono troppi.E uno dei due ci lascerà le penne. Mattarella non ha mosso obiezioni perché considera Di Maio un buon figliolo che ogni tanto sbrocca, come quando minacciò di metterlo in stato d’accusa salvo innestare una repentina retromarcia. Come quando annunciò dal balcone di Palazzo Chigi di aver debellato la povertà grazie a una manovra in deficit, prontamente riveduta e corretta.Quando ha detto l’altro giorno, provocando ilarità, che tutto il mondo era in attesa del responso di Rousseau. Nonostante tutto, per ora la navicella ministeriale va. Nessuno può dire fino a quando.