In questo articolo non si parla di si o di no al referendum di settembre, ma di attendibilità delle previsioni. Nella gamma delle tipologie referendarie contemplate dal nostro sistema giuridico spiccano due varietà previste dalla Costituzione: il referendum abrogativo e quello costituzionale.

Il referendum abrogativo, contemplato dall’art. 75 Cost., ha cominciato ad essere praticato nel 1974 con il quesito relativo alla legge sul divorzio e da allora si è adottato con una certa frequenza ( 67 volte), come lo strumento di democrazia diretta preferito dal Partito Radicale e da gruppi sociali e movimenti monotematici, per spingere il corpo elettorale ad abrogare leggi ordinarie riferite a tematiche particolari ( riforme elettorali, nucleare, privatizzazione delle risorse idriche, ecc.). Il referendum costituzionale ( art. 138 Cost.), invece, ha come scopo la conferma o il rigetto di modifiche apportate dal Parlamento alla Costituzione.

I NUMERI

Questa seconda tipologia referendaria è stata adottata in solo tre occasioni prima di quest’ultima del prossimo 20/ 21 settembre. C’è una differenza fondamentale tra il referendum abrogativo e quello costituzionale e riguarda il quorum di validazione: mentre, infatti, è necessario che si rechi al voto la maggioranza degli italiani ( e, ovviamente, che la maggioranza dei votanti opti per il no) per abrogare la legge ordinaria, per il referendum costituzionale non è previsto quorum: se vanno al voto solo tre italiani e due votano no la modifica costituzionale viene bocciata.

Tutto chiaro? Bene. Cerchiamo di comprendere, allora, com’è andata nel tempo più recente la partecipazione al voto, che, come vedremo, ha un peso decisivo dal punto di vista anche degli orientamenti finali. Il referendum abrogativo era particolarmente in auge negli anni tra gli anni ‘ 70 e la prima metà degli anni ‘ 90, facendo registrare quote di partecipazione altissime, pari all’ 88%, col voto sul divorzio. Poi conobbe un andamento altalenante, vuoi per l’eccessiva specificità dei quesiti ( accesso dei cacciatori a fondi privati, incarichi extragiudiziari dei magistrati, abrogazione del sistema elettorale del CSM, tanto per fare qualche esempio), vuoi per l’uso inflativo che se ne è fatto. Dagli anni 2000, infatti, salvo le consultazioni del 2011 sui temi idrici ( 54% di partecipazione) tutte le altre portarono al voto tra il 25 e il 32% degli italiani. I tre referendum costituzionali hanno avuto migliore fortuna di pubblico negli anni 2000. Non il primo, che portò al voto solo il 34% degli italiani per approvare la modifica del titolo V ( più poteri alle Regioni, in sintesi), ma il secondo, la grande riforma costituzionale di Berlusconi, che conto’ sull’affluenza di ben il 52,46% degli elettori, e il terzo, la grande riforma costituzionale di Renzi, che trascinò alle urne il 65,48% degli italiani. Il furor di popolo, però, delle ultime due consultazioni, si accese non per l’entusiasmo ma per bocciare le riforme.

Torniamo ad oggi. Come andrà a finire? I sondaggi continuano a raccontare che gli italiani quando possono castigare la politica lo fanno con grande piacere, quasi fisico.

Dunque se si tratta di ridurre la pletora non c’è santo che tenga. Insomma: un voto soprattutto d’istinto, di rabbia accumulata, di fiducia svaporata, al limite dell’antiparlamentarismo, con solo una minoranza tra il 15 e il 25% di contrari al taglio.

Non dubito che sia così. Ma quale sarà la platea dei votanti? Quella più vicina al 25- 30% dei referendum dell’ultimo ventennio, o quella del 2016 che boccio’ la riforma Renzi? Attenzione: non sono previste file di italiani davanti ai seggi, e la pandemia che s’impenna con picchi di 1500/ 1600 contagiati al giorno non aiuta. Così come non aiuta l’azzeramento del dibattito pubblico sul tema, a parte la buona volontà di qualche quotidiano e il quanto di dovere della tivù di Stato. E allora nei numeri ridotti può accadere l’imprevisto, che i sondaggisti non riescono a sondare.

Votano i motivati e non gli istintuali. O i sospettosi: nel 2013 in Irlanda il Parlamento abrogò il Senato con motivazioni simili a quelle che abbiamo ascoltato per il taglio.

I sondaggi davano il furor di popolo all’ 80%. Andarono al voto e il popolo disse no. Il motivo? Se i politici fanno una cosa che a noi sembra buona, gatta ci cova. E il Senato in Irlanda è ancora lì.