La fantasia? Poteva anche avere un senso: ma rimane l'ingiallita fascinazione di oltre mezzo secolo fa. L'improvvisazione, invece, proprio no, non va: laddove espugna il potere, inevitabilmente produce disastri. Vista con il fermo immagine fisso sulle vicende delle ultime ore, la parabola del M5S potrebbe essere descritta proprio così. Il sindaco di Roma, Virginia Raggi, dopo mesi e mesi di campagna elettorale gonfiata da sondaggi strabordanti, arriva al Campidoglio sull'onda di un consenso enorme e sul tema drammatico dei rifiuti come su quello dei trasporti non va oltre un compitino programmatico di circostanza. Come pustole piene di veleno, le scoppiano tra le mani le dimissioni a raffica di consiglieri e figure di primo piano della giunta insediata da meno di cento giorni, e la risposta qual è? Tweet scritti nelle ore in cui tutti dormono. Oppure l'amanuensale sfoglio di curricula, selezionati secondo chissà quale metafisico algoritmo.Tutto sull'impronta, tutto nel qui e ora. Niente di pensato, nulla che assomigli ad una strategia precedentemente definita, all'opportuna ed adeguata risposta di fronte ad una emergenza non voluta ma comunque da mettere nel novero del possibile. Tutto frutto dell'improvvisazione, appunto.Ma Roma è caput mundi, città plurisecolare dove la grandezza delle opere e dei monumenti si mischia ai miasmi delle manfrine e delle pastette di figure e figurine. Pensare di governarla senza aver predisposto per tempo e con esattezza piani di interevento precisi e definiti - dopo naturalmente aver chiarito i rapporti di forza interni al Movimento - è autolesionistico.Problemi dei vincitori. E degli amministrati.Poi però c'è un tema che più o meno riguarda tutta la politica. Roma rappresenta sì o no la prova del nove dell'incapacità grillina di governare: oggi la Capitale, domani il Paese? E ancora: un eventuale smottamento pentastellato riporterà alla casa di partenza i consensi calamitati dalle liste grilline? Più esplicitamente: il default Cinquestelle premierà Renzi nella battaglia referendaria dell'autunno?Complicato rispondere. Eppure necessario. Allora, azzardando: più no che sì. Per prima cosa occorre partire da una valutazione meno affrettata, meno concitata del panorama politico italiano, che porti a ragionare sui movimenti di fondo che stanno caratterizzando l'attuale fase. Continuare a ritenere che il sistema dei partiti funzioni come quello dei vasi comunicanti per cui ciò che dimunisce da un lato riempie dall'altro, forse invece che aiutare allontana dalla comprensione dei fenomeni. La realtà è che in Italia (ma non solo) sono in atto sconvolgimenti nell'approccio alla politica da parte degli elettori che cambiano in maniera strutturale le regole per guadagnare il consenso. La popolarità e l'affidabilità dei partiti da parte dei cittadini è prossima allo zero. L'esplosione grillina è il prodotto di questo sentimento: ne è la principale conseguenza non certo la causa. Dunque chi ha votato Cinquestelle con la voglia di schiaffeggiare le forze politiche tradizionali è difficile torni indietro. Chi si è allontanato da Pd e Forza Italia scegliendo Grillo perché deluso e arrabbiato, dinanzi a debacle pentastellate avvertirà ancora più forte la delusione e l'arrabbiatura. Più che ammettere l'errore, verrà attratto dal serbatoio sempre più debordante del non voto. Per cui chi scommette su automatici travasi dal M5S ai partiti tradizionali magari farebbe bene a ritirare la puntata. Gli italiani che alle elezioni politiche hanno preferito i rappresentanti del Vaffa piuttosto che lo srotolamento delle slides di palazzo Chigi è più che impervio ritenere possano fare dietrofront in tutta tranquillità e senza battere ciglio.La realtà è che il grillismo, per usare una formula d'antan, è ancora lungi dall'aver perso la sua capacità propulsiva. La spinta dell'antipolitica, del voto sempre e comunque "contro", è ancora fortemente presente nelle pieghe dell'elettorato italiano. La malmostosità della demagogia - che peraltro trova quotidianamente sciagurati epigoni - è una slavina che mantiene possenza e speditezza nella marcia verso le urne.Forse è con questa consapevolezza alle spalle che Matteo Renzi stesso e vari esponenti del Pd dopo i primi commenti al vetriolo alle notizie provenienti dal Campidoglio hanno spinto sul pedale del freno. Qualcosa del genere deve essere stato avvertito anche dalle parti di Arcore, pur se avvolto nella perdurante sfasatura berlusconiana. Magari e con qualche ragione in più, chi può pensare di avvantaggiarsi delle difficoltà pentastellate è la coppia Salvini-Meloni. Con una pesantissima zavorra però: che nelle attuali condizioni, per quanti voti riescano a lucrare ai Cinquestelle, è escluso possano aspirare a competere per la conquista del governo.C'è anche un'altra considerazione che vale la pena di resocontare e che affonda ancor più delle altre nelle pieghe dei possibili comportamenti elettorali degli italiani. Se davvero dovesse essere l'incompetenza, l'imperizia, l'improvvisazione la cifra della presenza grillina nelle amministrazioni, l'antidoto giusto va trovato nelle leadership dal timbro e dalla fisionomia prettamente politica oppure in altre con un'allure più manageriale, più professionale? E' un quesito dalla rilevanza non trascurabile perchè può rappresentare la golden share della vittoria nelle prossime elezioni politiche, indipendentemente da quando e con quale meccanismo elettorale si svolgano. Anche sotto questo profilo non è che il "giglio magico" possa dormire sonni così tranquilli. Al momento è poco più che fantapolitica, d'accordo. Ma se i Cinquestelle dovessero deflettere nel consenso popolare, un'eventuale duello per palazzo Chigi tra il politico Matteo Renzi difensore della cittadella istituzionale e il manager Stefano Parisi portatore di efficienza e capacità imprenditoriale, chi vedrebbe prevalere? Insieme alle note non esaltanti che vengono suonate sul pentagramma della crescita zero, magari è di queste dissonanze che il premier sarà costretto ad occuparsi nei prossimni mesi.