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Il Patto civico in Umbria tra M5s e Pd è ormai raggiunto. Un modello che sarà esteso anche alle altre regionali per trasformare l’alleanza con i dem in un vero e proprio asse? Presidente M5s della commissione Cultura a Montecitorio, Luigi Gallo spiega il suo no iniziale e il futuro del MoVimento.
«L’avanzata di un'Italia monocolore e di destra - spiega - ci può rendere impossibile realizzare appieno le nostre riforme, dal dissesto idrogeologico a nuove regole sulla gestione dei rifiuti. È chiaro quindi che il M5S deve sicuramente darsi una strategia per arrivare a vincere nelle Regioni. Ma servono accordi alti, non bisogna stringere accordi a tutti i costi. Per l'Umbria non si è costruito un percorso collettivo e una proposta corale, elaborata col contributo dei portavoce locali. Non abbiamo parlato di programmi, né dei requisiti dei candidati in lista nelle altre forze politiche. Un’operazione molto veloce, a cui è mancata chiarezza e collegialità. È per tutti questi motivi che ho votato no a questo accordo sull'Umbria proposto da Luigi Di Maio. Tuttavia, ora che gli iscritti hanno scelto sulla piattaforma Rousseau con il 60,9% il “Patto civico per l'Umbria”, dobbiamo essere a disposizione di tutti i portavoce e i cittadini umbri per portare al governo della Regione il M5S e i suoi progetti per i cittadini».
L’accordo con il Pd ha alimentato le divisioni tra i detrattori dell’intesa, vedi Paragone. Il gruppo è spaccato anche per questo?
Il gruppo parlamentare ha fatto una scelta, molto compatta, di governare per evitare l'aumento dell'Iva, tagliare il costo del lavoro per far crescere l’occupazione superando l'aumento dei 134mila contratti stabili che abbiamo già realizzato e dar vita a una svolta green per aumentare la nostra qualità della vita. Detto questo, nessuno è innamorato del PD, noi siamo innamorati solo dei cittadini.
All’assemblea dei senatori M5S, Di Maio è finito nell’angolo. In molti gli chiedono un passo indietro come capo politico e di sostituirne le funzioni con un direttorio di dieci persone. E si chiede anche una revisione dello Statuto per limitare i poteri del leader. Si rischia una scissione se non venissero accolte queste richieste?
C'è una dialettica che cresce nel M5S e per me è segno di vitalità ed energie che possiamo portare nel Paese. L'idea di un comitato decisionale allargato per costruire le scelte politiche più importanti e di una organizzazione democratica territoriale è un'idea che ho lanciato dal primo giorno di questa legislatura e sono contento che stiano crescendo le richieste in tal senso. Ne ha bisogno non solo il M5S ma anche il Paese, perché il M5S è un patrimonio pubblico che porta cittadini liberi nelle istituzioni. Tuttavia bisogna essere costruttivi e non divisivi. I Demolition Man della politica non sono finiti bene. A partire da Salvini che è tornato in vacanza, a fare forse quello che gli piace fare di più.
Le piace la “tassa sulle merendine” per finanziare la scuola? L’idea ha fatto storcere il naso a Salvini, ma anche a Di Maio. La proposta salta o è giusto discuterne?
Il nuovo ministro dell'Istruzione Fioramonti sta dicendo una cosa sacrosanta: dobbiamo investire sul futuro, sui giovani, sulla ricerca, evitare classi sovraffollate, ridare dignità ai docenti, permettere all' 1,2 milioni di ragazzi che sono sotto la soglia di povertà di studiare e ridurre in modo drastico il precariato sia a scuola che all'università. Per fare questo servono almeno 3 miliardi di investimenti per l'istruzione. Le proposte sono tutte concrete e mirate all’individuazione delle risorse, non a chiedere solo soldi. Se non sono considerate giuste da tutto il governo sono sicuro che Di Maio e il ministro dell'Economia troveranno altre soluzioni per i nostri giovani, per i docenti e i ricercatori.
Il ministro dell’Istruzione ha proposto di giustificare le assenze degli studenti che domani andranno in piazza per manifestare a favore della salvaguardia dell’ambiente. I presidi però sono in disaccordo. Lei che ne pensa?
Innanzitutto non tutti i presidi sono in disaccordo e poi si accetta sempre sul libretto di giustifica la dicitura: “motivi personali”. Il ministro ha dato un’opportunità e un segnale importante a tutti: i cambiamenti climatici e le emergenze ambientali non possono più restare fuori dalle mura della scuola. È bene attivarsi e partecipare a tutte le iniziative valide che i nostri ragazzi possono vivere anche fuori dalla tradizionale lezione di scuola, è bene che si attivino processi educativi e didattici anche fuori dalle aule. Si tratta di essere preparati ad affrontare i temi del futuro e di dare nuovo protagonismo alle generazioni di oggi.
Il clima sembra quello di un cambiamento culturale. È questa la ratio della volontà di inserire ambiente ed ecologia come materie d’insegnamento nelle scuole?
Bisogna andare ben oltre la materia d'insegnamento: piuttosto bisogna attribuire un carattere interdisciplinare ai temi ecologici. Innanzitutto bene fa il ministro ad apportare dei correttivi alla legge sull'educazione civica per orientarla sui temi della nuova agenda di sviluppo sostenibile 2030. È ora che anche esperienze di eccellenza sull'outdoor education che si sono sviluppate sul nostro territorio con enti di ricerca dell'Università di Bologna e di Milano Bicocca, progetti dell'Indire e reti di scuola in tutta Italia diventino patrimonio di tutto il Paese e si ritorni a valorizzare la grande storia pedagogica italiana a partire da Maria Montessori. I suoi scritti e i suoi studi sono ancora oggi attualissimi e innovativi, ma ancora pienamente da realizzare.
Lo sviluppo sostenibile ha un costo. Il decreto clima di Costa ha infatti subito molti attacchi per via dei tagli ai sussidi inquinanti per diesel e gasolio agricolo. Come conciliare il progresso sui temi ambientali senza rischiare di essere impopolari? È il “green” che può aprire un nuovo corso tra M5s e Pd?
L'economia mondiale e quella italiana si sono fermate. Non a causa del decreto clima del ministro dell'Ambiente Costa ma perché si sono usate ricette economiche fatte da scelte di sviluppo e di crescita sbagliate. Parlo anche delle scelte delle imprese, non solo di quelle della politica. Senza innovazione, senza riconversione green, senza investimenti sull'industria immateriale del nostro Paese credo che non torneremo a crescere. Ci vuole un po' di coraggio da parte di tutta la società: la politica, le imprese e i cittadini. Ne va del nostro futuro, del nostro benessere e della qualità della vita oltre che della nostra stessa sopravvivenza come specie umana.