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Luciano Violante, ex presidente della Camera
L’ex presidente della Camera Luciano Violante interviene sul rapporto tra politica e magistratura e spiega che «il magistrato, vista la quantità di poteri discrezionali che esercita nei confronti della reputazione, della libertà e dei beni delle persone, non è un cittadino come gli altri» e che è in corso «un riequilibrio » tra poteri dello Stato.
Presidente Violante, crede che quello in atto tra governo e pm sia l’ennesimo capitolo della guerra trentennale tra politica e magistratura?
A partire dalla seconda metà degli anni Settanta abbiamo avuto una fase di forte espansione del potere giudiziario rispetto al potere politico soprattutto per la lotta contro il terrorismo. Oggi c’è un governo che non sempre in modo corretto sta cercando di costruire un riequilibrio attraverso processi di riduzione dei poteri giurisdizionali e di mortificazione della reputazione dei magistrati. Il riequilibrio può piacere o meno, ovviamente, ma non va fatto pensando di poter prevalere attraverso un abuso degli strumenti a propria disposizione.
Eppure l’attuale governo ha attaccato frontalmente i giudici e le loro decisioni sul “caso Albania”, anche ricordando una certa “militanza” delle toghe. Che ne pensa?
Qualche magistrato ha sbagliato gravemente con dichiarazioni incompatibili con il suo ruolo. Il magistrato, vista la quantità di poteri discrezionali che esercita nei confronti della reputazione, della libertà e dei beni delle persone, non è un cittadino come gli altri. Deve contenersi ed essere sobrio nelle sue manifestazioni. Non può apparire né come parte né come controparte. Così si riduce la propria credibilità e di danneggia tutta l’istituzione.
Dall’altro lato la magistratura si tiene stretta la sua indipendenza dalla politica, nell’ottica della separazione dei poteri propria dello stato di diritto.
L’indipendenza da ogni altro potere è un diritto dei cittadini e necessità di un esercizio responsabile dei comportamenti privati e di quelli pubblici. Nel mondo politico si manifestano a volte posizioni che o per ignoranza o per convincimento pronunciano dichiarazioni provocatorie. Sono piccole trappole alle quali bisogna sfuggire con intelligenza senza diventare controparte.
Molti vedono in Tangentopoli l’inizio della fine del primato della politica, in favore di un sempre più accresciuto potere della magistratura. È così?
La questione va molto più indietro, la riporterei ai tempi del terrorismo. In quegli anni la magistratura è emersa come unico soggetto che combatteva e spesso moriva per difendere le istituzioni della Repubblica. E questo ha dato alla magistratura un rilievo importante, basti pensare anche a tutti quei magistrati, magari meno noti, uccisi dalla mafia o dai terroristi. Poi abbiamo avuto il ’92 e Tangentopoli ma la storia della “supplenza” comincia molto prima, quando si diceva che la magistratura interveniva laddove non lo faceva la politica.
Non crede tuttavia che con Tangentopoli si assistette a un “cambio di passo” nello squilibrio di poteri tra legislativo ed esecutivo, da un lato, e giudiziario dall’altro?
A me capitò di scrivere un articolo sull’Unità nel 1993 in cui sostenni che nessun paese può resistere a lungo dall’ingessatura che viene dallo strapotere giudiziario nella società, perché prima o poi arriverà un soggetto regolatore che metterà le cose a posto. Ecco, penso che ora siamo in questa fase. Questo è il corso della storia che stiamo vivendo. Ma ho l’impressione che non tutti i magistrati abbiano colto il senso della storia. Siamo nel primo quarto del nuovo secolo, non più nell’ultimo quarto del secolo precedente.
Fino alla volontà da parte della maggioranza di mettere mano alla Costituzione e realizzare, ad esempio, la separazione delle carriere.
Bisogna battersi seriamente per difendere l’indipendenza della magistratura; ma ciascun magistrato deve comprendere che si tratta di una responsabilità, non di un beneficio. La separazione tra pm e giudici è inutile perché c’è già ed è dannosa perché maschera un intento che può diventare in qualche caso prevaricatorio.
Secondo la maggioranza la magistratura ha «troppo potere». Condivide?
A me sembra che abbia un eccesso di esposizione mediatica. Per il resto, i magistrati applicano le leggi che fa il Parlamento. Leggo che negli ultimi mesi sono state create 49 nuove figure di reato. Il che vuol dire 49 nuove possibilità di poter intervenire nella vita delle persone. Queste leggi danno alla magistratura un potere di intervento molto alto ma sono decisioni del Parlamento. Ogni volta che si approva una legge si attribuisce un potere in più al magistrato. Non ha senso approvare tante leggi, spesso confuse, e poi dire che i magistrati hanno troppo potere. Altro capitolo è quello della disapplicazione in via di fatto di alcune leggi penali. È una questione che merita uno specifico approfondimento.
Crede che da questo punto di vista il “colore” politico del governo in questione faccia o abbia fatto la differenza in questi decenni?
Chiunque eserciti un potere di governo, di qualunque colore politico esso sia, non vede con particolare simpatia l’intervento giudiziario. Ricordo per esempio una critica di una persona che stimo come Romano Prodi nei confronti dei tribunali amministrativi. Il punto è che politica e magistratura sono due sovranità confinanti, nel senso che la politica è sovrana nei confronti dell’intero paese mentre il giudice è sovrano nei confronti del soggetto che ha di fronte in quel momento, ma sono comunque due sovranità. E, di conseguenza, nel momento in cui una arretra l’altra avanza.
Pensa anche lei, come diversi esponenti di governo, che la magistratura stia mettendo degli ostacoli alla maggioranza proprio per evitare che la politica riconquisti il suo “primato”?
Se ci fosse sarebbe uno scontro puramente ideologico. Chi governa sa che in uno Stato di diritto come il nostro il potere del governo non è illimitato. Quel che si può dire è che nella cultura di sinistra, anche se non in tutta, c’è l’idea che il potere politico debba fare i conti anche con gli altri poteri mentre in quella di destra è più presente l’idea dell’intangibilità del potere politico in quanto tale.
Tant’è che il governo si è spinto ad approvare un decreto con la famosa lista dei “paesi sicuri”. Funzionerà?
L’hanno fatto, ora vedremo se funzionerà. Credo che occorra aspettare quattro o cinque mesi per vedere se funziona e soltanto dopo saremo in grado di esprimere valutazioni o giudizi. Bisogna anche vedere cosa succederà a livello europeo. Sta di fatto che sull’immigrazione nessuno ha trovato una soluzione, che di certo non può essere quella di rimpallarsi a vicenda il problema come per anni è stato fatto e come molto spesso viene fatto tuttora.