La senatrice di Fratelli d’Italia Susanna Donatella Campione spinge sull’acceleratore per denunciare un fenomeno odioso: l’uso della violenza sessuale sulle donne come strategia di guerra. Di ritorno da Bucarest, dove la commissione politica dell’Osce lunedì scorso ha dato il via libera alla sua risoluzione sull’argomento, la parlamentare italiana è pronta a portare la stessa battaglia in Aula, con la legge a sua firma incardinata in commissione Giustizia a Palazzo Madama in tempi record. «La violenza contro le donne nei conflitti armati sembrerebbe una piaga antica – spiega Campione -, ma in realtà siamo di fronte a una sua evoluzione drammatica: siamo passati dal considerare le donne come bottino di guerra, come si è fatto dalla notte dei tempi, ad usarle come arma. Al punto che ci sono istruzioni precise su come privarle della loro capacità riproduttiva, per arrivare quindi a sterminare un popolo».

Senatrice, la sua proposta è stata largamente condivisa dalla commissione affari politici dell’Osce, che l’ha approvata all’unanimità. Come nasce e che obiettivo ha?

La risoluzione è stata sostenuta da 47 parlamentari di 16 Paesi diversi. E va in parallelo con il disegno di legge a mia firma sul quale è già iniziata la discussione in Senato. Mi piaceva l’idea di porre l’attenzione sul fenomeno sia in sede nazionale che internazionale: l’Italia è il primo paese a dare attuazione in materia alle convenzioni internazionali, con l’ultima, quella di Lubiana, che invita gli Stati ad adottare al loro interno legislazioni e norme specifiche. Siamo il primo Paese a farlo e siamo anche il primo Paese che propone una risoluzione così specifica sul punto.

La sua legge era stata annunciata lo scorso 9 aprile nell’ambito di un convegno sull’argomento, al quale hanno preso parte due delegazioni straniere, ucraina e israeliana, e colleghe dell’opposizione.

Esatto. Volevo mantenere la promessa fatta alle donne che ho incontrato, senza perdere tempo. Siamo stati velocissimi, ma adesso sono assolutamente aperta ad eventuali modifiche: l’obiettivo è che ne venga fuori una norma condivisa da tutti, perché su questi temi non ci si può dividere.

Cosa prevede il testo?

Con questa norma delineiamo il reato all’interno del nostro ordinamento come crimine universale. Cosa vuol dire? Che anche quando il reato viene compiuto da un cittadino italiano all’estero, o addirittura da un cittadino straniero all’estero, ogni volta che l’autore del crimine fa ingresso nel territorio di quello Stato, questi lo può perseguire.

Nel quadro della normativa internazionale la violenza sessuale è già considerata come crimine di guerra e contro l’umanità. Qual è la novità in questo senso?

Le convenzioni internazionali non possono avere applicazione all’interno dei singoli Stati. Sono norme di indirizzo, che il singolo stato deve registrare al proprio interno. Ecco il punto focale della legge: si tratta di una figura nuovissima di reato che va a raccordare i trattati e le convenzioni internazionali con la legislazione interna.

Quando parla di fenomeno nuovo, a quali scenari di guerra pensa?

A tutti. Questo è un punto da precisare: non ho circoscritto il reato a un contesto particolare, proprio perché per me è un reato universale. Voglio che sia un progetto esteso a tutte le popolazioni in guerra, aldilà del credo politico e della collocazione geografica, senza barriere. Ho cominciato dalle realtà in guerra a noi più vicine, ma i diritti umani sono patrimonio di tutti.

Nel corso del convegno di aprile abbiamo ascoltato le drammatiche testimonianze di quanto avvenuto il 7 ottobre nei kibbutz israeliani e al festival musicale Supernova nel deserto del Negev.

Tutto nasce dal mio viaggio in Israele. Quando le donne israeliane hanno saputo che sono un avvocato che si occupa di violenza, mi hanno voluto raccontare quello che è successo lì e questo mi ha fatto riflettere tantissimo. Mi hanno spiegato come si sono svolti i massacri, soprattutto sulle donne. E poi mi ha molto colpito il racconto delle donne ucraine: sebbene le testimonianze arrivassero da aree geografiche completamente diverse, le modalità sono le stesse. E questo vuol dire che si tratta di una tattica, una tattica di guerra.

C’è anche una dimensione “spettacolare” della violenza: come è successo il 7 ottobre, al quale abbiamo assistito attraverso le telecamere degli stessi carnefici.

Esatto, questo è il punto. Quando i terroristi diffondono le immagini delle violenze perpetrate, queste diventano armi.

Perché parlare di stupro nei contesti di guerra è un tabù?

Secondo me c’è un grande equivoco su questo. Pochi sanno che nei tempi più recenti la violenza sulle donne viene usata come arma. Tutto passa dalla conoscenza: se si alza il velo e si fa vedere quello che succede, non è vero che alla gente non interessa. Come dimostra l’approvazione all’unanimità della mia risoluzione.

Quali sono gli strumenti che l’Osce mette in campo?

Le faccio un esempio. Ieri ho accolto l’emendamento di una collega canadese, che propone di fornire assistenza alle vittime creando centri appositi nei vari paesi dell’Osce. Perché la persona che ha subito una tale atrocità non va abbandonata. Si tratta di centri che possono anche monitorare il fenomeno e riportare i dati per cercare soluzioni sempre più adeguate. Tutto nell’ottica di una cooperazione tra gli Stati, elemento importantissimo: l’Italia è il primo paese, ma io credo e spero che altri seguiranno questa via.