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È nato in modo formale un asse tra Lega e 5 Stelle, o sono solo illazioni dei giornali? Sul piano dell’analisi politica non sembra che ci siano molti dubbi: l’asse è nata e forse servirà a sanare una delle tante anomalie italiane, riaccorpando due movimenti populisti che finora si erano collocati su posizioni abbastanza distanti tra loro. Lo strano caso di Salvini, Casaleggio e Calabresi
Quest’asse è stata approvata in un solenne incontro tra i due leader maximi, e cioè Matteo Salvini e David Casaleggio, come ha scritto “ Repubblica”? Probabilmente no. La successione di affermazioni e smentite ci dà la sensazione che l’incontro non ci sia stato, e che il lento avvicinarsi dei due movimenti sia avvenuto per vie indipendenti e senza riunioni di vertice. Casaleggio e Salvini hanno negato di essersi visti e hanno invitato “ Repubblica” non a svelare la fonte ( perché questo violerebbe l’etica giornalistica) ma a precisare il luogo, la data e l’ora del summit. “ Repubblica” non lo ha fatto e questo naturalmente fa pendere la bilancia a favore di Grillo e Salvini. Subito dopo è scattata la gara all’insulto più pesante, e da una parte e dall’altra sono volati epiteti ed articoli sanguinosamente offensivi.
Naturalmente i lettori possono dire: «A noi non interessa in dettaglio, vogliamo invece sapere se è vero o no che è alle viste una alleanza tra 5 Stelle e Lega, perché questo è il nocciolo della questione». Giusto. E la risposta è sicuramente positiva. Negli ultimi tempi i 5Stelle si sono spostati su posizioni molto vicine a quelle della Lega su temi complessi come l’immigrazione clandestina, lo Ius soli ( che riguarda invece l’immigrazione regolare e legale), la le-
gittima difesa. La Lega invece si è avvicinata ai 5 Stelle su temi come i vaccini e la politica della giustizia. E ha iniziato anche a prendere le difese di alcuni grillini in difficoltà, per esempio Virginia Raggi. Questo lento “moto tellurico” ha un grande interesse, perché se messo in relazione con l’altro “moto”, e cioè con l’avvicinamento tra Pd e Forza Italia, apre uno spiraglio all’ipotesi dell’esaurimento della fase tripolare della politica italiana, e del ritorno a un nuovo bipolarismo, costruito su blocchi politici del tutto diversi da quelli della seconda Repubblica.
Però non basta un ragionamento politico per risolvere il problema della verità o della falsità di una affermazione giornalistica. A meno che non si stabilisca un principio secondo il quale i giornalisti non sono tenuti a riferire verità precise ma devono soltanto descrivere delle tendenze reali o almeno realistiche.
Io credo che le cose non stiano così. E che i giornalisti debbano riferire delle verità precise e debbano essere in grado di giustificare le proprie affermazioni o di accettare le smentite. Specialmente se le loro affer-mazioni possono avere un peso molto forte sullo svolgimento della lotta politica, o della battaglia economica, o di quella sindacale, o comunque possono favorire o danneggiare dei partiti, dei gruppi, o delle singole persone.
Però questa mia convinzione – che una ventina d’anni fa era la posizione di quasi tutti, diciamo pure che era un principio sacrosanto e che non veniva messo in discussione – nei tempi recenti è diventata una convinzione di nicchia. Cosa è successo, nell’ultimo quarto di secolo? Mi ricordo che all’alba degli anni ‘ 90 nacque in Italia un giornale che si chiamava l’Indipendente, lo dirigeva Riccardo Levi ( giornalista molto autorevole ed estremamente sobrio) e aveva una missione dichiarata: quella di levare “clamore” alla stampa italiana e di spingerla verso la serietà, l’oggettività e i toni bassi del giornalismo anglosassone. Titoli lunghi lunghi e in caratteri piccoli e molto sfumati. Lunghi e argomentati anche gli articoli, approfonditi e con idiosincrasia verso il sensazionalismo. Notizie verificatissime. Tutto questo per contrastare una tendenza ( che all’epoca era appena appena accennata) del giornalismo italiano a scivolare verso toni e colore dei giornali della sera e della notte ( che oggi non ci sono più).
La sfida di Levi andò malissimo. Durò, se non ricordo male, poco più di un anno. Poi Levi fu mandato via, al suo posto venne chiamato l’emergente Vittorio Feltri ( che aveva avuto un gran successo all’Europeo settimanale) e Feltri fece una scelta del tutto opposta a quella di Levi. La parola d’ordine era: gridare, gridare, gridare. Lavorare soprattutto sui titoli. Spararla grossa. Soprattutto con alzo zero sulla politica.
Feltri fu aiutato da Di Pietro, perché in quel periodo scoppiò Tangentopoli e chiunque passasse per strada era autorizzato a sputare in faccia a un politico e a dirgli: ladro, ladro, ladro. E infatti L’Indipendente, che con Levi, credo, navigava attorno alle 10 mila copie, schizzò a 150 mila. Da allora sono nati molti altri giornali strillati e costruiti un po’ sul modello che negli anni precedenti era stato dei giornaletti della sera. I grandi quotidiani storici son rimasti un po’ spiazzati. E hanno iniziato a inseguire.
A forza di inseguire oggi è quasi impossibile distinguere tra giornali strillati e giornali seri. Le due categorie ( che gli americani chiamano giornali popolari e giornali di qualità) si sono fuse. E così gli ultimi due casi clamorosi di notizie dirompenti ma non dimostrate sono toccati ai due quotidiani principe: Il Corriere della Sera e Repubblica. Il Corriere è stato sfiorato dal caso De Bortoli-Boschi, solo perché De Bortoli è un suo editorialista ed ex direttore di lunghissimo corso. Repubblica travolta in pieno dal Caso Lega- Grillo, anche perché il suo direttore, Mario Calabresi, si è impegnato personalmente nella tenzone. I due casi sono simili, e anche speculari. Perché le parti politiche che hanno sostenuto De Bortoli ora attaccano Repubblica e viceversa. Ma questo – l’assoluta volatilità delle posizioni - è un classico della stampa e dell’intellettualità italiana, e non stupisce nessuno. Il problema resta quello al quale accennavamo all’inizio, e non può essere aggirato: il giornalismo, in nome della sua libertà e della sua indipendenza, è autorizzato a scrivere cose non vere, o comunque delle quali non è assolutamente sicuro? O questa incertezza sulla verità lo danneggia in modo irreparabile? Io – senza pretendere di avere la verità in tasca – sono convinto della seconda ipotesi.