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Se il lavoro da remoto ha rappresentato in questi tempi Covid una necessità, per il futuro può essere una scelta. Utile alle persone, alle imprese, all’ambiente se accompagnato dalle politiche che servono. Non solo da quelle che attengono alla regolazione della prestazione di lavoro, che nella modalità lavoro agile può acquisire libertà e responsabilità.
Lo Smart working rappresenta sicuramente una articolazione produttiva consentita dalle tecnologie e accelerata dalla pandemia.
Il cambiamento del rapporto tra persone e il lavoro che ne deriva però ha un impatto strutturale sugli stili di vita e di consumo e definisce un nuovo senso comune.
South Working è il termine coniato per descrivere il fenomeno di ritorno al Sud di lavoratori dipendenti di aziende del Nord. Sta cambiando anche il flusso degli studenti verso Università lontane e sono in aumento gli acquisti di case nei piccoli borghi dimenticati.
Per tutto ciò sono necessarie scelte di sistema che accompagnino lo smart working e aiutino a coglierne le opportunità positive.
Infatti il gradimento da parte delle persone e delle imprese fa prevedere, e auspicare, che non si tratti di una parentesi in attesa del vaccino e dunque del ritorno alla normalità.
Che peraltro così felice non pare misurata con il metro delle condizioni della maggior parte delle donne e degli uomini. Si pensi alle differenti opportunità di accesso al lavoro tra le giovani donne e i giovani uomini, di mantenimento del lavoro e di progressione nel lavoro.
In ognuno di questi scenari, le giovani e meno giovani donne sono svantaggiate. Per via degli stereotipi sulle distinzioni dei ruoli nel lavoro di cura e del riconoscimento del valore del lavoro produttivo sulla base della disponibilità di orari e spostamenti, piuttosto che dei risultati.
Il lavoro agile si fonda sui risultati e consente alle donne e agli uomini di conciliare lavoro produttivo e riproduttivo e quindi di condividerlo. Un punto importante a suo favore, un vantaggio per la collettività.
A Roma, in reazione al lavoro agile, l’Agenzia per la Mobilità prevede un calo di 400 mila viaggiatori sui mezzi pubblici. Continueranno a lavorare da remoto circa la metà dei 23 mila dipendenti del Campidoglio e la metà dei 400 mila dipendenti pubblici. Per non parlare delle grandi aziende nel privato da Eni, Enel, Terna, Acea, BNL. Per continuare con le Poste, TIM, Wind e via così. Che hanno tutte annunciato di mantenere la maggioranza delle loro maestranze di Roma in Smart working. E parliamo di migliaia e migliaia di lavoratori e lavoratrici.
Non solo perché con tutta evidenza la pandemia non è superata. Ma per l’impatto positivo sulla produttività.
Per questo le scelte delle imprese continueranno oltre la data del 15 ottobre, data di fine delle dichiarazione di emergenza che ha previsto procedure semplificate per l’attivazione dello Smart working.
Quando il quadro di riferimento è questo e ad esso si aggiunge un tasso di gradimento da parte delle lavoratrici e dei lavoratori molto alta legata al recupero del tempo degli spostamenti, così riferiscono un inchiesta Uil sui lavoratori romani e molte altre ricerche sul piano nazionale promosse da vari istituti, non si deve certo trascurare l’impatto sulla desertificazione del centro della città, già provata dal rallentamento del flusso dei turisti e le sue ricadute occupazionali. Non per guardare indietro, ma come indicazione per cambiare politiche urbanistiche, per attivare scelte di rigenerazione urbana, in previsione anche delle risorse del Recovery Fund. Per cambiare e riequilibrare il rapporto tra il centro e la periferia delle diseguaglianze e delle marginalità. Per immaginare spazi di lavoro collettivo come i coworking. Per incentivare la digitalizzazione delle imprese e della pubblica amministrazione, la connessione digitale della città e delle famiglie, l’alfabetizzazione informatica.
Per costruire nuove politiche per un turismo di qualità lungo le filiere delle industrie culturali. Per sostenere il commercio e la ristorazione attraverso l’innovazione. Per la semplificazione amministrativa. Insomma per guardare avanti. Verso Roma Capitale del futuro.
E cambiando verso. In quello attuale è successo che la società francese City Scoot, società di scooter sharing, ha appena annunciato di lasciare Roma dopo appena un anno dall’inizio della sua attività. Ha detto per spostarsi su altre realtà urbane più dinamiche.