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IMAGO ECONOMICA
«Io credo che si faccia molta confusione quando invece bisognerebbe essere chiari ed evitare cosi fraintendimenti: i magistrati non sono pubblici dipendenti come tutti gli altri», afferma l’avvocato romano Pieremilio Sammarco, ordinario di diritto comparato presso l'Università di Bergamo.
Professor Sammarco, il neo presidente dell’Associazione nazionale magistrati, il dottor Cesare Parodi, ha confermato l’altro giorno lo sciopero per il prossimo 27 febbraio. Cosa si sente di dire?
I magistrati, lo ripeto, non possono essere considerati dei semplici pubblici dipendenti. Essi svolgono una funzione essenziale per la collettività. Autorevoli giuristi del passato hanno affermato la loro netta contrarietà all’astensione collettiva dei giudici. Penso ad esempio ad Arturo Carlo Jemolo che desiderava che “se ne dismetta per sempre l’idea, che esca fuori dal novero delle cose possibili, dei mezzi cui si pensi a ricorrere”.
Se non ricordo male, comunque, anche alcuni capi dello Stato, in qualità di presidenti del Consiglio superiore della magistratura si sono espressi in tal senso.
Esatto. Nel 1967, Giuseppe Saragat, in un suo discorso al Csm, manifestò senza remore la ferma contrarietà allo sciopero dei magistrati che reclamavano un migliore trattamento economico, essendo in quel momento le loro retribuzioni alquanto basse. Uguale posizione fu poi assunta da Giovanni Leone nel 1974 il quale affermò la necessità di escludere il diritto di sciopero come strumento di autotutela di un ordine titolare di una funzione sovrana.
Ci sono anche ragioni di tipo sociale?
Le ragioni della contrarietà risiedono essenzialmente nella consapevolezza che la professione del magistrato non è equiparabile in tutto e per tutto a quella di un pubblico dipendente, poiché egli svolge una funzione imprescindibile per i bisogni e le giuste attese della collettività.
A questa risposta si può però obiettare che la legge prevede il diritto di sciopero.
La legge 146 del 1990 che regola l'esercizio del diritto di sciopero nei pubblici servizi, al comma 2 dell'articolo 1, dice espressamente che il diritto di sciopero va contemperato con “l’amministrazione della giustizia, con particolare riferimento ai provvedimenti restrittivi della libertà personale ed a quelli cautelari ed urgenti, nonché ai processi penali con imputati in stato di detenzione che incidono sui diritti della persona”. Si tratta indubbiamente di una positivizzazione del diritto di sciopero dei magistrati, che però non risolve di certo i confini ed i limiti di tale diritto.
E quali sarebbero questi limiti?
I processi più sensibili per i diritti della persona e quelli urgenti. Tuttavia, mi lasci fare una considerazione: oggi con la dilatazione dei tempi per ottenere la definizione di un processo e quindi giustizia, ogni procedimento diventa urgente e necessario perché riflette un interesse economico non solo del singolo ma anche collettivo. È noto infatti che la giustizia incida sul PIL nazionale e sull’attrattività degli investimenti.
Dunque, vista la crisi sistemica della giustizia, ogni processo è urgente?
Esattamente; e l’astensione collettiva dei giudici spezza la necessaria ed indifferibile continuità giurisdizionale che pregiudica i diritti di coloro che chiedono giustizia e contribuisce a peggiorare l’economia e l’immagine del paese, o, come diceva Montesquieu, “la salute dello Stato”.
Capirà bene che sarebbe impossibile in questo momento esigere da parte dell’esecutivo il divieto assoluto di sciopero per i giudici. Non farebbe altro che alimentare le polemiche. Ci sono poi frange della magistratura che aspettano il momento per lo scontro finale con il governo sulla riforma della giustizia che ha previsto la separazione delle carriere fra pm e giudici. L’attuale giunta dell’Anm pare infine essere molto fragile, per le forti divergenze al suo interno al riguardo, ed in pochi scommettono che arriverà nell’attuale compagine a scadenza naturale.
Certo, sono d’accordo con lei. Personalmente importerei allora nel nostro Paese il modello francese nel quale, per legge, sono vietate tutte le manifestazioni di dissenso ai provvedimenti e alle misure del governo che vengono considerate incompatibili con le funzioni del magistrato.
Quindi?
È molto semplice. In Francia, Stato che non può certamente essere etichettato come un pericoloso Paese sovranista dove si calpestano i diritti e le garanzie, vi è per i magistrati l’espresso divieto di sciopero per ragioni di tipo “politico”. La prassi vede soltanto astensioni di tipo sindacale per ragioni economiche ed organizzative, quali la carenza di organico e per il malfunzionamento generale dell’organizzazione giudiziaria. Sarebbe sufficiente “copiare” i nostri cugini d’Oltralpe.