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E' invalsa la regola di invocare o promettere una legge riparatoria dopo un incidente o una controversia di qualunque natura. Puntualmente dopo lo scontro di Di Matteo – Bonafede e dopo le gravi rivelazioni sulla commistione tra giustizia e politica si invoca una “riforma” e si immagina, con una ingenuità pari alla ignoranza, di modificare alcuni meccanismi anche elettorali per il Csm per ridare serenità e indipendenza alla magistratura e risolvere tutti problemi.
È vero, la magistratura è attraversata da correnti al suo interno che in verità per il passato avevano alimentato un dibattito culturale utile e che oggi hanno il solo scopo di distribuire un potere parcellizzato. L’ingenuità è immaginare che si possa modificare il comportamento degli uomini con semplici interventi legislativi di maniera senza modificare la struttura e l’impianto di una istituzione, in questo caso senza risalire ad una domanda di fondo: come disciplinare la funzione nuova che il magistrato ha assunto nella società. Bisogna prendere atto che l’” ordine autonomo” indicato dalla Costituzione come qualifica della magistratura, è stato sostituito da un “potere autonomo“ e questa evoluzione è avvenuta attraverso un processo anche culturale e una modifica del ruolo del magistrato e del giudice che ha interessato tutto il mondo giudiziario, non solo in Italia.
Il legislatore non si è reso conto di questo mutamento. Le riforme fatte dal’ 70 in poi, come ho detto tante volte, hanno invece aggravato la situazione perché hanno contribuito ad esaltare l’autonomia della magistratura e quindi la sua separatezza e non la sua indipendenza. Per fare un solo esempio, dal quale sono derivate tante conseguenze, nel 1973 il Parlamento - con il voto contrario di Cossiga e mio - ha approvato una legge con la quale si stabiliva che il magistrato non deve subire condizionamenti di nessun tipo neanche interni per cui la sua carriera deve avvenire per “scatti di anzianità” e non per meriti: da allora tutta la magistratura si è chiusa in se stessa in maniera autoreferenziale disattendendo il dettato della Costituzione.
Un bravissimo magistrato come Alfonso Sabella ha detto qualche giorno fa in una trasmissione televisiva che per la sua posizione personale non aveva mai chiesto interventi, ma i suoi contatti con il Csm erano avvenuti solo per le sette promozioni ottenute, ma subito dopo con estrema sincerità, e con un sorriso, ha aggiunto: «Una promozione per scatti di anzianità», quindi burocratica!
A mio avviso la “questione Palamara” non va valutata per i singoli accadimenti che mette in evidenza, per le oscure e gravi trame che squaderna ma per la rilevazione di un sistema deviato, che tutti conoscevano, che attribuisce alla magistratura un ruolo diverso da quello istituzionale. Si attribuisce la colpa di tutto ciò alle correnti che avviliscono la Magistratura e si immagina di cambiare il sistema elettorale da proporzionale a maggioritario uninominale o in altro modo per risolvere il problema. Una ingenua illusione. Negli anni 90 proponemmo riforme che restano ancora valide per modificare la struttura interna e l’ “atteggiamento” istituzionale della magistratura e di conseguenza orientare il loro modo di raccordarsi alle istituzioni, che ribadiamo perché sono attuali, efficaci e decisive. Il ruolo e le funzioni del Pubblico ministero debbono essere diverse da quelle del giudice cosi come sono regolate in tutti i Paesi democratici: in un processo accusatorio, sia pure anomalo come il nostro, l’accusa è “parte” del processo, come il difensore, e il giudice è “terzo”, arbitro, al di sopra delle parti.
La interscambiabilità delle funzioni crea confusione processuale perché se chi fa le indagini ha un ruolo giurisdizionale, come il giudice, diventa protagonista e crea commistioni e intrecci tra poteri diversi.
I Consigli superiori di conseguenza dovrebbero essere divisi per garantire meglio l’indipendenza del giudice e organizzare meglio la funzione del pubblico ministero. Stante la obbligatorietà dell’azione penale, per evitare la eccessiva discrezionalità del Pubblico ministero è necessario introdurre criteri di priorità dell’azione penale fissati dal Parlamento.
Per garantire una funzione autonoma al Ministero di Giustizia bisogna impedire la presenza al suo interno dei magistrati che condizionano la politica giudiziaria. Una riforma banale, ma forse decisiva, è vietare l’indicazione sulla stampa del nome del magistrato e del giudice per tutelare le persone che sono esposte in indagini delicate e pericolose e per evitare il personalismo e il protagonismo: valeva per il terrorismo ma vale per la mafia e per tutte le situazioni. Forse se si fosse approvata una norma così elementare, avremmo avuto qualche vittima in meno...
Per ultimo bisogna fissare condizioni molto precise per le candidature politiche o amministrative in modo che il magistrato non possa tornare al suo lavoro così delicato e così contrario a quello politico.
Questi piccoli - grandi interventi basterebbero da soli a modificare la struttura istituzionale e organizzativa della categoria dei magistrati: per attuarli è necessaria una grande lungimiranza...