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Temo che l’Inferno che lo aspetta in Italia col comune e curioso auspicio di amici e nemici farà presto rimpiangere a Mario Draghi le rogne avute a Francoforte negli otto anni di mandato di presidente della Banca Centrale Europea. Dove il settantaduenne economista, già governatore della Banca d’Italia e dirigente di quello che i vecchi chiamano ancora Ministero del Tesoro, oggi Ministero dell’Economia, ha dovuto vedersela sopra e sotto il tavolo, davanti e dietro la porta, con interlocutori tosti come sono quelli tedeschi. E ciò senza avere - credo per fortuna del nostro Paese- quel complesso un po’ reverenziale verso la cultura germanica, e annessi e connessi, che distingueva Carlo Azeglio Ciampi quand’era governatore della Banca d’Italia.
Poi egli passò a Palazzo Chigi, chiamato all’improvviso dal trafelato presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, nel 1993, sostituendolo al Quirinale nel 1999, dopo aver fatto il guardiano dei nostri conti dietro la scrivania di Quintino Sella. L’Inferno che temo aspetti Draghi in Italia, per quanto egli possa attrezzarsi di estintori e buona volontà, ha un fuoco che continuerebbe ad intossicare anche dopo che fosse miracolosamente spento. L’unica che potrà forse proteggerlo è la moglie Maria Serena Cappello. Alla quale, consapevole evidentemente dei rischi, e sicuro dell’affetto che li tiene insieme da 44 anni, lo stesso Draghi ha invitato i giornalisti a rivolgersi più o meno direttamente quando gli hanno chiesto, nella cerimonia di chiusura della propria esperienza a Francoforte, se avesse o vedesse prospettive politiche, o d’altro tipo, anche ora che avrebbe tutto il diritto di fare il pensionato. E non è certamente tipo da reddito di cittadinanza, come ha osservato l’ex sottosegretario leghista a Palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti, ancora in preda agli incubi quando pensa a quella misura mai digerita al tavolo con i grillini nella stagione gialloverde.
E’ stato proprio Giorgetti, diavolo di un uomo, a mettere in pista Draghi per una eventuale successione a Giuseppe Conte, a capo di un governo istituzionale, o quasi, destinato ad evitare, anzi a rievitare elezioni anticipate in caso di crisi, anche a costo di procurare un mezzo infarto al suo “capitano” Matteo Salvini e al piddino di maggior grado nella compagine ministeriale in carica, Dario Franceschini.
Salvini, si sa, smania di elezioni anticipate già dalla scorsa estate, quando vi puntò scommettendo imprudentemente sulla linea analoga adottata da Nicola Zingaretti dopo la sua elezione a segretario del Pd di fronte all’ipotesi di un’intesa di governo con i pentastellati. Egli smania dall’estate scorsa e vi lascio perciò immaginare ora che ha stravinto le elezioni regionali umbre col centrodestra a forte trazione leghista: una trazione riconosciuta in piazza San Giovanni, a Roma, da Silvio Berlusconi a tal punto da essersi procurato le proteste, le riserve e quant’altro di Mara Carfagna, Renato Brunetta, Gianfranco Micciché, Gianfranco Rotondi e via elencando.
Franceschini non smania di elezioni anticipate, è vero. Sarebbe troppo attribuirgliele come un vero e proprio progetto. Ma la sua musica è cambiata da quando Matteo Renzi si è messo in proprio con Italia Viva ed ha cominciato a prendere quanto meno le distanze dalla visione strategica, e non tattica, permanente e non momentanea, dell’alleanza fra il Pd e il Movimento delle 5 Stelle. Di fronte al toscano che non sembra proprio disposto a stracciarsi le vesti se il governo Conte per qualsiasi ragione dovesse poco serenamente cadere anzitempo, nonostante la popolarità del professore nei sondaggi e il suo sforzo di non perderla girando come una trottola per tutte le parti d’Italia, 54Franceschini non lascia quasi trascorrere giorno senza ammonire che questo è davvero l’ultimo governo della legislatura. In caso di crisi, quindi, anche a costo di ritrovarsi con l’odiato, temuto e quant’altro Salvini, egli sosterrebbe lo scioglimento anticipato delle Camere. E pazienza, sembra addirittura di capire, salvo precisazioni, se nel frattempo non si sarà riusciti ad arrivare, nel 2022, all’elezione del successore di Sergio Mattarella al Quirinale.
Il Quirinale: ecco un altro girone paradossale dell’immaginifico Inferno che potrebbe aspettare Draghi, vista l’imprudenza con la quale retroscenisti e simili, stavolta comprensivi anche di quel veterano, a dir poco, del giornalismo politico italiano che è Eugenio Scalfari, hanno cominciato a parlare di lui come del prossimo, auspicabile presidente della Repubblica. E ciò anche a costo di smentire l’occhiolino fatto, con pari imprudenza, durante la crisi di agosto all’incolpevole Mattarella per un bis. Una regola imposta dall’esperienza alla corsa al Quirinale è che non cominci con troppo anticipo. Porta sfiga, dicono a Roma. ” Non sarà un atterraggio facile”, ha preconizzato un esperto del ramo, diciamo così, come Romano Prodi. Che nel 2013 provò sulla sua pelle di quanti chiodi possa essere disseminata la salita al Colle più alto.