Inizia a Roma il processo di primo grado per
il bendaggio subìto da Gabriel Natale Hjorth. Si tratta di una costola del
processo principale per la morte del vice brigadiere Mario Cerciello Rega, per cui sono stati condannati all'ergastolo Gabriel e Finnegan Lee Elder. Dinanzi al giudice Alfonso Sabella, ci sarà l'imputato Fabio Manganaro, carabiniere individuato come l’autore del bendaggio. Quella foto del ragazzo bendato, con le mani legate dietro la schiena e la testa reclinata in avanti ha fatto il giro del mondo. Fu scattata il 26 luglio 2019 all’interno della Caserma dei Carabinieri di Via In Selci in Roma. L'accaduto ha fatto nascere immediatamente una doppia indagine presso la Procura di Roma: una per abuso di autorità contro arrestati o detenuti, di cui deve rispondere Manganaro, e un’altra per violazione del segreto investigativo e abuso d’ufficio, per cui è stato rinviato a giudizio Silvio Pellegrini.
Ne parliamo con uno dei due legali di Gabriel Natale, l'avvocato Francesco Petrelli, che lo assiste insieme a Fabio Alonzi.
Avvocato quella immagine ha suscitato immediatamente sdegno
Sul fatto intervenne immediatamente il Generale dell’Arma Nistri, dicendo che “quanto è successo è un fatto molto grave” e che si sarebbe avviata una “indagine interna” e anche l'allora Presidente del Consiglio Conte disse che “riservare quel trattamento a una persona privata della libertà non risponde ai nostri principi e valori giuridici, anzi configura gli estremi di un reato o, forse, di due reati”. Sul fronte della magistratura ci fu anche un importante intervento del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione Salvi, il quale aggiunse che si sarebbero dovute anche accertare “eventuali responsabilità per omessa vigilanza”, cosa che non ci risulta sia stata fatta.
Non pensavamo potesse accadere una cosa del genere nelle nostre caserme
Quella del bendaggio o blindfolding dovrebbe essere sconosciuta in un Paese civile e democratico; infatti è una pratica diffusa nei territori di guerra, dove i regimi statali autocratici e totalitari o Stati deboli cedono il passo ad organizzazioni paramilitari o terroristiche. O dove anche gli Stati decidono di sospendere le garanzie costituzionali: si pensi ad esempio ai fatti ancor più gravi di Abu Ghraib in Iraq o a Guantanamo. ll Comitato europeo per la prevenzione della tortura, organismo del Consiglio d’Europa, ha condannato la pratica del blindfolding in quanto “trattamento inumano e degradante”. L’essere bendati fa perdere il senso del tempo e dello spazio, rende inermi e si diviene così un oggetto nelle mani dei carcerieri, è una pratica che umilia il detenuto ma soprattutto disumanizza il rapporto con colui che è sottoposto ad una misura limitativa della libertà e tende a rendere irresponsabile dei propri gesti o a far sentire tale da chi la adotta. Gabriel Natale mentre era bendato venne anche videoripreso e fu sottoposto a una sorta di interrogatorio.
Il grave episodio è stato anche oggetto di vostre discussioni nel processo di primo grado per la morte di Cerciello Rega
Anche la sentenza della Corte di Assise, sebbene non ne abbia discutibilmente fatto discendere conseguenze sul piano processuale, non ha voluto “assolutamente sottovalutare la gravità di quel bendaggio” affermando che “si tratta di un atto lesivo della dignità umana, ingiustificabile e come tale va certamente stigmatizzato”. Ma il fatto va oltre l’indegnità di quel trattamento in sé e ci permette di fare anche qualche altra considerazione sugli effetti della circolazione di quella immagine del giovane bendato accasciato e con le mani dietro la schiena nel momento che tale pubblicazione ha integrato un ulteriore illecito che è quello previsto dall’art. 114 del codice di rito. Mi chiedo quale e quanta influenza abbia avuto quella immagine nel determinare nel pubblico la convinzione della sicura colpevolezza dell’accusato. Chi è ristretto in quelle condizioni e sottoposto ad un simile trattamento “deve” essere colpevole, lo è sicuramente! Quella che è stata una sconsiderata pratica vessatoria, a causa della sua vasta e immediata diffusione ha avuto l’effetto di sostenere l’accusa facendone immediatamente percepire la presunta fondatezza, oltre e al di là della prova. In maniera del tutto distorta è il trattamento subìto e il modo in cui il sospettato viene presentato in immagine a fondare la sua responsabilità. Si tratta di un meccanismo psicologico facilmente comprensibile.
Giovedì inizierà il processo di appello. Il suo assistito ha avuto l'ergastolo pur non avendo accoltellato la vittima
Tutti ricordano quella immagine ma nessuno sa che Gabriel Natale era disarmato, che neppure ha visto ferire il povero Cerciello, che quando è fuggito, pensando di essere stato avvicinato da un malintenzionato, neppure aveva capito che vi era stato un ferimento, che non ha in alcun modo partecipato a quel tragico fatto. Resta drammaticamente fondamentale il modo in cui un indiziato venga mostrato al pubblico. È proprio questo il senso della Direttiva europea sul rafforzamento della “presunzione di innocenza” del 2016 attuata solo da due mesi in Italia: evitare che l’indagato e l’imputato vengano “presentati come colpevoli” anche nella formulazione delle notizie, nei titoli, nell’informazione in genere. Questa legge purtroppo non era in vigore quando è successo il bendaggio ma comunque probabilmente non sarebbe bastata ad attenuare lo strapotere mediatico e quello dei social che oramai sopravanzano anche nell’informazione giudiziaria i media classici. In generale solo un atto di responsabilità dei singoli comunicatori e un cambio profondo della cultura dell’informazione possono arginare la barbarie di certe modalità di comunicare il processo, mortificando l’immagine e la dignità delle persone, compromettendo l’equità dei giudizi e distruggendo la vita di innocenti.