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Leonardo Arnau, coordinatore della Commissione Diritti umani e protezione internazionale del Consiglio nazionale forense
Il 24 gennaio ricorre la Giornata degli avvocati in pericolo, istituita nel 2009 per accendere i riflettori sulla condizione dei difensori minacciati e arrestati nel mondo. Quest’anno si parla di Bielorussia. Dove «la repressione esercitata contro gli avvocati che si occupano di casi a sfondo politico compromette fortemente il diritto a un giusto processo e l’accesso alla giustizia», spiega Leonardo Arnau, coordinatore della Commissione Diritti umani e protezione internazionale del Consiglio nazionale forense.
Ci racconta le attività svolte in occasione della Giornata?
Il Consiglio Nazionale Forense, attraverso la mia persona, ha partecipato il 24 gennaio scorso a un webinar organizzato dagli ordini di Bologna, Milano, Padova, Palermo e Verona, tutti membri attivi dell’Osservatorio degli avvocati in pericolo (Oiad) di cui il Cnf è cofondatore. Al webinar hanno partecipato numerosi relatori, tra i quali l’avvocata bielorussa Svietlana Babintseva ed il collega Artur Wiezbirsky, Presidente della Commissione Diritti Umani della Federazione degli Ordini Forensi Europei (FBE). Ho partecipato inoltre a convegni organizzati dagli Ordini di Genova, Ravenna, Forlì-Cesena e dalla Camera penale della Romagna. Manifestazioni e convegni si sono svolti in diverse altre città su iniziativa dei diversi Ordini. Tengo però a sottolineare che, al di là della data del 24 gennaio, la mobilitazione dura, come di consuetudine, per l’intero anno. Il Cnf partecipa attivamente alle attività dell’Oiad. L’Osservatorio, con il contributo del Cnf, ha redatto un documentato report sulle gravi violazioni dei diritti della difesa in Bielorussia che è stato pubblicato e rilanciato sui social dagli ordini italiani che vi aderiscono ed è stato alla base dei diversi eventi svoltisi o che si svolgeranno, durante tutto l’anno, sul tema. L’iniziativa della giornata, infatti, non si limita agli eventi, pur importanti e significativi che si svolgono nell’arco delle 24 ore, ma vuole costituire l’inizio di un percorso di approfondimento e riflessione che dura l’intero anno, aperto al contributo di tutti, tenuto conto degli aggiornamenti dettati dalla cronaca. Un’occasione straordinaria per promuovere la conoscenza e l’approfondimento delle vicende umane e professionali, spesso drammatiche, di tante colleghe e colleghi che, altrimenti, resterebbero sconosciute. Storie singole che contribuiscono a ricostruire con più precisione il contesto difficile in cui i colleghi di un determinato Paese sono costretti a vivere e lavorare.
Quest’anno il focus è sulla Bielorussia. Qual è il quadro?
Gli avvocati, spesso in prima linea nella difesa delle libertà fondamentali, sono sottoposti a intimidazioni, arresti arbitrari e radiazioni per aver esercitato la loro professione. La repressione esercitata contro gli avvocati che si occupano di casi a sfondo politico compromette fortemente il diritto a un giusto processo e l’accesso alla giustizia in Bielorussia. L’impegno di questi colleghi è il simbolo di chi non si sottomette, di chi non si piega all’ingiustizia, di chi è disposto a pagare qualsiasi prezzo perché vengano rispettati i diritti di tutti, di chi è pronto a qualsiasi sacrificio per il diritto. In Bielorussia si paga un prezzo altissimo per aver fatto il proprio dovere di difensore, per aspirare ad un giusto processo, per la difesa dei diritti umani e civili. Per questo abbiamo tutti un debito che siamo chiamati ad onorare, ricordando che quando vengono attaccati gli avvocati e la funzione difensiva, sono oggetto di aggressione l’individuo e le sue libertà.
L’Associazione bielorussa degli avvocati per i diritti umani (BAHRL) rappresenta proprio i legali arbitrariamente radiati dall’albo o perseguiti nell’esercizio della professione.
È un meccanismo che, purtroppo, si riscontra in Paesi anche geograficamente molto lontani per tradizioni, lingua e cultura, accomunati però dalla presenza di governi autoritari che impediscono il libero esercizio della professione. Per colpire i singoli avvocati più facilmente si attenta anche all’indipendenza degli ordini forensi.
Nel 2024 i riflettori si sono accesi soprattutto sull’Iran. Qual è stata l’attività dell’avvocatura italiana in ambito internazionale?
Vorrei ricordare innanzitutto il conferimento all’avvocata iraniana Nasrin Soutdeh, nel corso della “Sessione ulteriore” del XXXV Congresso Nazionale Forense, svoltosi a Roma nel dicembre 2023, del Premio dell’Avvocatura Italiana “per il costante impegno profuso in favore del rispetto dei diritti umani e per le libertà di tutte le donne, senza mai arrendersi di fronte ai processi, alle condanne, ai lunghi periodi trascorsi in prigionia, svolgendo in modo indefettibile il suo ruolo di persona, di donna, di avvocata così rappresentato in modo esemplare per noi tutti e per le future generazioni”.
Nasrin Sotoudeh ha difeso, durante la sua carriera, prigionieri politici, giornalisti, le donne vittime di violenza domestica, quelle che protestano contro l’obbligo di indossare il velo. Siamo mobilitati per l’arresto del marito di Nasrin, Reza Khandan, arrestato il 13 dicembre 2024 nella sua abitazione, difensore dei diritti umani in Iran. Secondo le informazioni di cui disponiamo l’arresto dà esecuzione a una sentenza di condanna a sei anni di carcere per appartenenza a un’organizzazione criminale in relazione alla distribuzione anni fa, nel corso di una manifestazione, di spille che riportavano la frase: “Mi oppongo all’obbligo di indossare l’hijab”. La data del suo arresto coincideva con quella prevista per l’entrata in vigore di una nuova legge, ancora più restrittiva, sull’obbligo di portare il velo, non promulgata per ora dal presidente iraniano. Abbiamo espresso la più ferma condanna per l’arresto in Iran della giornalista Cecilia Sala, titolare di un regolare visto d’ingresso per svolgere il proprio lavoro, e profonda preoccupazione per le condizioni della sua detenzione, chiedendone l’immediata liberazione, poi fortunatamente avvenuta grazie all’attività delle nostre istituzioni. Abbiamo sottolineato che il governo iraniano ha l’obbligo di rispettare i principi sanciti nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, in particolare per quanto riguarda il divieto di arresto arbitrario, previsto dall’articolo 9 e il divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall’articolo 10.
Lei ha citato l’Oiad, l’Osservatorio degli avvocati in pericolo di cui il Cnf è cofondatore. Un presidio di democrazia?
L’Osservatorio, dopo ormai quasi dieci anni di attività, è diventato un punto di riferimento essenziale a livello internazionale, anche per la sua vocazione ad occuparsi dei casi degli avvocati minacciati nel mondo. Le fonti di informazioni cui attinge, spesso costituite dai colleghi degli avvocati arrestati appartenenti allo stesso ordine oppure addirittura allo stesso studio legale, sono quindi particolarmente qualificate. Ciò dà particolare valenza non solo ai comunicati e rapporti conseguenti alle missioni di osservazione processuale, ma anche a quelli redatti al termine delle missioni conoscitive, condotte nei diversi scenari, sempre a fianco degli avvocati degli Stati interessati.