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Canzio
Pubblichiamo un estratto da “Il linguaggio giudiziario e la comunicazione istituzionale”, su “Giustizia insieme”, a firma di Giovanni Canzio, Primo Presidente emerito della Corte di Cassazione È fortemente avvertita l’esigenza di un serio cambio di passo nella razionalizzazione delle forme del linguaggio dei provvedimenti giudiziari, nella consapevolezza che i criteri della trasparenza e della comprensibilità hanno ormai assunto la veste di parametri di qualità e di efficacia dell’amministrazione della giustizia. Per un verso, ogni provvedimento giudiziario, a ben vedere, si risolve in un «agire comunicativo» del suo autore, essendo diretto, attraverso il tessuto argomentativo della motivazione, a con-vincere il dubbio e persuadere le parti, i difensori e la comunità delle valide ragioni che lo sostengono. Un agire, dunque, tendenzialmente orientato verso un “orizzonte di intesa”, secondo i principi dell’etica del discorso argomentativo (J. Habermas) e in funzione del consolidamento della fiducia dei cittadini nella giustizia, della legittimazione democratica e dell’indipendenza della magistratura, dello Stato di diritto. Per altro verso, il linguaggio giudiziario è una sorta di metalinguaggio, che, nel decifrare e ricostruire nel presente la complessità e l’opacità di fatti e circostanze appartenenti al passato (lost facts), ha il compito di decodificarne il significante attribuendo ad esso il significato e la qualificazione di rilevanza secondo il diritto.La potenza descrittiva ed evocativa della parola esige dunque nel giusdicente il buon uso della parola stessa, secondo una specifica professionalità e una peculiare formazione nelle tecniche della scrittura argomentativa (legal writing). Ne consegue che il magistrato, per potere correttamente valutare i fatti e interpretare il diritto, debba essere un uomo di cultura a tutto tondo, non solo giuridica ma anche umanistica e scientifica: un decisore di qualità, libero da vincoli e condizionamenti che non siano la legge, la ragione e l’etica del limite. Non va dimenticato che la “giustizia” ha una dimensione relazionale perché presuppone il compimento di atti di “ingiustizia”, i quali, prima ancora di essere repressi, esigono di essere conosciuti, descritti, comunicati, cioè “narrati”. Sicché, ciò che chiamiamo il senso della giustizia e la cultura della giurisdizione si realizzano anche attraverso l’esplorazione della giustizia nella letteratura, attingendo al bacino di esperienze che, nate dal movimento accademico delle Law Schools americane intitolato Law and Literature, presentano oggi una dimensione sovranazionale. Il confronto con le strutture linguistiche e con la forma retorica ed ermeneutica del testo letterario migliora la capacità espositiva e la crescita etica della persona, agevolando l’acquisizioneda parte del giurista di una nuova e più concreta prospettiva della componente umana del diritto all’interno della società.Un modello virtuoso di esposizione delle ragioni del provvedimento giudiziario, che nell’espressione lessicale, grammaticale e sintattica ne renda comprensibile il fondamento, deve ispirarsi ai canoni della sintesi, chiarezza, specificità e precisione nello sviluppo degli argomenti, dettati da varie prescrizioni e raccomandazioni, interne e sovranazionali, sia di soft law che di hard law. È sufficiente citare: la Magna Carta dei giudici europei del 17/11/2010 (par. 16) e la Raccomandazione 12/2010 del 17/11/2010 Com. Min. CE (par. 63), per cui la motivazione dei provvedimenti va redatta in un «linguaggio semplice, chiaro e comprensibile»; (...) Possono costituire utili fonti d’ispirazione per l’agire comunicativo del giudice le raccomandazioni per «scrivere bene» suggerite da Italo Calvini nelle sue “Lezioni americane”: a) la leggerezza («pensosa») dei concetti, nel senso della sottrazione di peso alla struttura del racconto, così da dissolvere l’opacità e la complessità dei fatti dell’esistenza, attraverso informazioni che li rendano comprensibili, grazie a un tessuto verbale leggero nello stile, nitido, non ridondante, e che evitino, negli stretti limiti dello specialismo necessario, le formule curiali della “antilingua”; b) la rapidità, nel senso della agilità, focalità e velocità mentale del ragionamento, connotato da concentrazione, sobrietà, economicità ed essenzialità degli argomenti messi a fuoco, ariosità delle cadenze sintattiche e brevità del periodare per coordinate e non per subordinate, senza congestioni e mediante aggiustamenti progressivi; c) l’esattezza, in funzione di un disegno dell’opera ben definito e calcolato, incisivo, esemplare per precisione, determinatezza, misura, realizzato sulla base di un ordine geometrico degli argomenti, idoneo a creare una rete di connessione fra la materialità dei fatti e le valutazioni giudiziali, con riguardo ai singoli capi e punti e alle evidenze probatorie e secondo titoli logici di verosimiglianza e probabilità.