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Lo hanno trovato. L’approdo di quattro giorni di negoziazioni, ridefinizioni, riposizionamenti, è li’, è storia: dopo più di un decennio di politiche restrittive dei debiti e di controllo della spesa pubblica, un nuovo scenario. In fondo, le forze in campo c’erano tutte e sarebbe stato assai difficile giustificare dinnanzi alla storia che gli interessi nazionali, anche dinnanzi ad un rischio e ad un destino che ci rende, almeno individualmente uguali, e collettivimanete interdipendenti, non fossero capaci di guardare a un “noi”. Certo, queste sono parole, o forse imperativi etici, ma la verità della real politik sta nel fatto che ognuno dei leader seduto in questi giorni al tavolo e ai molti tavoli del Consiglio europeo ha una partita doppia da giocare, in Europa e a casa. Non è sfuggito ad alcun osservatore attento quale fosse il filo doppio che legava le esigenze, i vincoli e le poste in gioco cosi come le disponibilità a negoziare. Comunque adesso il recovery è possibile. Possiamo guarire? Da quale male?
È interessante notare come lo spirito del tempo che segna le ondate covid sia iniziato con un messaggio ‘ virale’, la poesia citatissima, ‘ Guarire’: “e la gente rimase a casa e lesse libri e ascolto più in profondità... e la gente comincio’ a pensare in modo differente e la gente guari’”. Ma, ancora, da cosa? Forse da un malessere che ci segna da molto tempo, questo senso di distanziamento – ebben si’ – fra cio’ che potremmo essere, il potenziale di ciascuno e le possibilità che il sistema economico e sociale offriva per lo sviluppo umano che è poi, a vero dire, la sola ragione per cui il vivere comune vale di più del vivere secondo la sommatoria di uno più uno.
Un malessere che si è riflesso anche sul piano sistemico nella difficoltà, molte volte discussa, di non trovare le modalità per fare il salto, per rilanciare, per uscire dalla crisi economica che ci ha colpiti nel 2007 o forse per uscire da un modo di vivere e di governare la cosa pubblica. Ora dunque possiamo guarire, peraltro arrivano risorse, molte risorse, come non si vedevano da tanto tempo. Pensiamoci. Cosa fare di queste risorse?
Su molti fronti si stanno concentrando le attenzioni del dibattito pubblico, tutti sicuramente importanti e significativi. Di certo sarà importante mettere mano alla complessità delle procedure della macchina amministrativa, andando a identificare quelle sacche di ridondanza che rendono incomprensibilmente lento l’interagire fra cittadino e impresa da un lato e PA dall’altro. Di certo sarà importante investire sulle infrastrutture. Esse saranno il volano della sostenibilità del benessere per tutti: scuole, autostrade, parchi, ospedali, palazzi di giustizia, reti, sicurezza dei dati, piattaforme digitali.
Ma manca in questi scenari e in questi fronti, pur anche importanti, un ulteriore piano, quello di cui pochi parlano, perché di fatto è un piano che non è facilmente quantificabile in euro: è il piano di cio’ che le persone hanno imparato e hanno testato sulla loro esperienza individuale in queste settimane, in questo periodo che ha reso discontinuo e in qualche modo ha sospeso tutto cio’ che sapevano fare e per cui si identificavano e si facevano identificare nella professionalità. Questo è stato il tempo che ha fatto sentire tutti insicuri di riuscire a fare al meglio in modo inedito quello che prima si sapeva fare al meglio in modo noto e abituale.
Quel piano ha a che vedere con la memoria delle persone, la memoria esperienziale, del coraggio di provare, dello scoprirsi capaci di adattarsi a forme di organizzazione prima impensate. Quelle risorse economiche e finanziarie arrivano su un terreno nuovissimo, fatto di persone che sono passate attraverso una tempesta organizzativa, psicologica, emotiva, che ne ha fatto emergere, spesso senza che nemmeno avessero il tempo di dirselo, le loro più forti e recondite capacità. Insomma, le capacità potenziali, quelle latenti. Come si misurano in euro? Francamente non so nemmeno se sia necessario farlo. So che pero’ quando gli euro arriveranno e saranno da trasformare in azioni e investimenti in comportamenti e regole, ecco che la vera risorsa, quella che non solo opererà come vocabolario di traduzione della risorsa economica in valore aggiunto sociale e istituzionale, ma che opererà come un moltiplicatore nel tempo, la vera risorsa starà nella consapevolezza condivisa di cio’ che le persone insieme sono in grado fare e soprattutto di cio’ che una sistematica, duratura, rispondente e fattivamente orientata politica di formazione e qualificazione professionale potrà rendere tutti in grado di fare. Nella esperienza del nuovo fatto da ciascuna persona stanno i tasselli del nuovo orizzonte. Il collante saranno le risorse materiali in arrivo, declinate in progettualità strategiche oggetto di un commitment istituzionale forte e autorevole. Ma il colore di quei tasselli lo hanno le persone. Diciamolo loro, ascoltiamole. Diamo loro valore, perché esse possano sapersi portatrici del valore del domani.