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Le due ore di pranzo di ieri tra il premier e i suoi due vice devono essere state incoraggianti. La soluzione per evitare l’aumento dell’Iva, per fare la flat tax, per scongiurare una manovra correttiva è stata individuata: «I soldi li troviamo dalla crescita», ha assicurato infatti Matteo Salvini. Solo che la crescita non c’è: a certificarlo è il governo stesso. Infatti il Def approvato in appena 35 minuti di Consiglio dei ministri inchioda l’aumento del Pil per l’anno in corso ad un misero 0,2 per cento.
Palazzo Chigi punta su misure in itinere per stimolare la spinta ai consumi e allo sviluppo.
Si vedrà. Tuttavia quegli stessi numeri - e mai più numeretti squadernano una realtà che dovrebbe preoccupare non poco, perfino togliendo loro il sonno, i due Lord protettori dell’esecutivo.
Perché il tasso di crescita stabilito originariamente dal ministro Tria era dello 0,1 per cento. E’ diventato lo 0,2 calcolando gli effetti del reddito di cittadinanza e di quota 100. In sostanza il peso di una piuma. Tradotto significa che i pilastri della narrazione gialloverde, i due totem issati sia nella campagna elettorale che nello scontro con la Ue fin oal punto da rischiare la procedura d’infrazione, le due irrinunciabili misure scelte per testimoniare la bontà del “cambiamento”, di fatto non impattano nel corpo vivo del Paese. Non producono entusiasmi, non capitalizzano la fiducia dei cittadini né rassicurano i mercati visto che lo spread resta inchiodato a 250 punti.
Soprattutto quelle che nelle intenzioni dovevano testimoniare la concretizzazione delle promesse elettorali, alla prova dei fatti si dimostrano interventi che i cittadini e gli indicatori economici non considerano essenziali. Vuol dire che è stata sbagliata la lettura dei bisogni veri degli italiani.
Adesso in tanti aspettano il voto europeo per capire i possibili scenari. Ma qualunque sia il responso delle urne per governare sarà necessario ripartire dalla comprensione di ciò che è davvero urgente per l’Italia.