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Il sabba degli interrogativi è cominciato subito. E perciò lunghe ombre si rincorrono attorno al falò delle vanità e delle promesse mantenute di Lega e Cinquestelle e di quei due totem - reddito di cittadinanza e quota 100 - che adesso sono nero su bianco; non più comizioso vociare bensì concretezza di spesa. Sono ombre alcune fumose, impregnate di svolte tutte e inesorabilmente epocali, o al contrario marcate di ludibrio quali biasimevoli mance assistenzialistiche: entrambe figlie perverse di una propaganda bipartisan che ha stravolto e sostituito la comunicazione politica. Altre invece appaiono più dense e sostanziose, il risultato di un fact- checking che dovrebbe costituire l’humus insostituibile dei media, o almeno di quelli tradizionali.
Ma comunque sia, sempre danza di ombre rimane. Il falò gialloverde le mette in fuga senza problemi perché il risultato vero, agli occhi della maggioranza dei cittadini, è che i due partiti hanno onorato la cambiale firmata nel corso della campagna elettorale. Certamente non appieno, sicuramente non nella vastità annunciata o nella corpositá economica assicurata. Ma, almeno per ora, non importa. Sempre meglio di niente, continua a mormorare la gente sugli autobus o nelle case; sempre meglio di quelli di prima.
Per adesso è così, e fermare il vento con le mani non si può: chi ci prova passa per sciocco. È presumibile - anzi per molti è sicuro - che quelle ombre cresceranno e ben presto affogheranno il falò sotto il peso delle coperture insufficienti o sull’applicabilitá scivolosa. Però non in tempo per l’apertura a fine maggio dei seggi delle elezioni europee. E per Salvini e Di Maio, con il premier Conte che rimira soddisfatto entrambi, è più che sufficiente.
Poi tuttavia arriva l’alba, il sabba evapora, il falò impallidisce. Ma anche qui: non c’entrano le critiche e gli annunci di sventura di chi si oppone. C’entra invece l’Italia che sarà e che bisogna costruire a partire da ora. Dopo le Europee, infatti, si dipana un lungo tragitto che arriva fino al marzo del 2023, scadenza naturale della legislatura, e al cui interno dodici mesi prima c’è il bottino più grosso, la madre di tutte le vittorie: l’elezione del nuovo capo dello Stato. Che Paese pensano di tenere in piedi fino a quelle date, i due dioscuri della maggioranza? Immaginare che ci siano quattro anni di montagne russe, di scontri e polemiche giornaliere su tutto l’arco dell’azione di governo, che possano convivere e addirittura marciare insieme concezioni che si elidono a vicenda, vedasi questione Tav; oppure interessi che fisiologicamente e territorialmente si oppongono, vedasi serbatoio elettorale leghista al Nord e grillino nel Mezzogiorno, è il frutto di un esercizio di acrobatico ottimismo che con la realtà della guida di uno degli Stati più avanzati del mondo ha poco a che vedere.
Le due bandierine sono state piantate, d’accordo. Ma niente può cancellare - lo riporta bene List, il blog di newanalisys Di Mario Sechi - la drammatica situazione di un Paese di 60 milioni di abitanti dove a lavorare sono solo 23 milioni e oltre 13 milioni nella fascia di età tra i 15 e i 65 anni sono inattivi, cioè sono senza occupazione e neppure la cercano. Un Paese che è aggrappato a pensioni e pensionandi perché assieme alla Germania condivide il primato di essere uno dei più vecchi del mondo. Per ora distribuire risorse per alleviare il disagio di tanti o riaprire la finestra della quiescenza per chi se l’era vista chiusa all’improvviso va anche bene, porta voti che sono come la pecunia dei romani, non olet. Ma poi? Che Italia hanno in mente i vincitori del 4 marzo scorso? È la decrescita felice il traguardo da raggiungere? O la desertificazione finale della mano d’opera, anche straniera, nell’attesa dei tanti lavori che spariranno, come un po’ sinistramente predice Davide Casaleggio? O infine un Paese che diventa una “piccola Patria” scartando un Sud considerato zavorra assistenzialistica? Redistribuire o meglio “risarcire” per alleviare difficoltà è giusto e doveroso. A patto che ci sia una torta da dividere, un benessere da elargire. Ma se la torta è solo un pasticcino che si fa? Il lavoro o la ricchezza non si creano per legge: serve la crescita, servono gli investimenti, servono interventi strutturali. Sta ai gialloverdi dimostrare che le risorse presenti nella manovra complessivamente intesa, sono bastevoli. E quand’anche si realizzassero tante fantasie irrealizzabili, Lega e Cinquestelle come si presenteranno agli elettori, dicendo loro: scusate, finora abbiamo scherzato adesso ci contrapponiamo per un bipolarismo mai provato; oppure spiegheranno agli italiani che sono diventati un tutt’uno e sulle liste elettorali i loro simboli saranno appaiati per fare l’en plein di suffragi? Chissà. Sono quesiti improponibili nell’era del qui e ora, del presentismo senza se e senza ma che si brucia per autocombustione. Comunque sia, da maggio in poi comincia un lungo quadriennio che nessun tweet o diretta Facebook autocelebrativa può governare. Servirà una strategia, diventerà urgente trasformare il Contratto in un accordo politico sostanziale. In caso contrario, la prova di governo gialloverde andrà incontro a marosi piuttosto tempestosi. Triste l’equipaggio che dovesse affrontarli senza bussola, con due comandanti che guardano in direzione opposte.