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Napoli sta conquistando, sempre più spesso, le prime pagine dei giornali. Le violenze delle baby gang, segnate da una brutalità inaudita, hanno richiamato l’attenzione sul degrado di una città, finora nascosto sotto il tappeto del folclore e delle dichiarazioni roboanti del suo sindaco.
L’attenzione dei media ha fatto emergere che non si tratta di episodi isolati, ma del reiterarsi di una serie impressionante di atti di violenza, spesso privi di qualsiasi anche banale giustificazione.
A questa esplosione di violenza sono state date due diverse e, in qualche misura, contrapposte spiegazioni. Antonello Ardituro, togato del Csm e già Pubblico Ministero presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, ha lanciato un accorato appello “aiutateci!!! Perché da soli non ce la facciamo… accadono cose che, quando accadono ( perché accadono) in altre città, vengono percepite come straordinariamente drammatiche... su cui si innesta una reazione vera. Lo Stato interviene. Qui no. … Abbiamo bisogno proprio di tutto: scuole aperte di pomeriggio… una riflessione sulla effettività della pena; maggior rigore; sicurezza urbana. La sanzione come possibilità di recupero e di educazione. Una qualche speranza di sviluppo economico di lavoro per questi ragazzi. La speranza che esista un domani”. L’emergenza Napoli, dunque, è vista come una specificità di quella città, da risolvere mediante interventi sociali si, ma anche attraverso maggiore effettività e rigore dell’intervento penale.
Un altro magistrato, Nicola Quatrano, apprezzato Presidente di una sezione del Tribunale del riesame di Napoli, ha, viceversa, ricondotto il fenomeno in un articolo pubblicato su questo Giornale ad un circolo vizioso che sta colpendo tutte le società, e non solo Napoli: le vite violente delle baby gang di Napoli, cosi come i foreign fighter delle periferie parigine, non sono altro che l’espressione, in forme diverse, del medesimo disagio sociale generato dalla globalizzazione e dalla emarginazione e che si esprime attraverso il rancore. Napoli, perciò, non esprime una specificità, ma costituisce l’espressione di un malessere riscontrabile in tutte le periferie del mondo. Un malessere sociale che, in quanto tale, non può certo trovare soluzione della cd. tolleranza zero.
Come appare evidente, due analisi largamente contrapposte: l’una centrata sulla specificità di Napoli e che dà rilievo particolare alla esigenza di maggior rigore nella repressione, l’altra centrata sulla dimensione sociale del fenomeno e sulla impossibilità di vedere il toccasana nella tolleranza zero. Tutte e due le analisi, tuttavia, peccano per un aspetto: non tengono conto di quello che è successo nella città negli ultimi trent’anni. L’esplosione di Mani Pulite nei primi anni novanta ha avuto in Napoli uno degli epicentri, caratterizzato da particolare violenza repressiva, espressa attraverso un uso illimitato della carcerazione preventiva. I filoni di indagine che si sono svolti a Napoli hanno decapitato, senza se e senza ma, tutta la classe dirigente, politica ed imprenditoriale dell’epoca. Per ben comprendere che cosa è successo basta ricordare le vicende del Banco di Napoli e della Italgrani. Il Banco di Napoli, che costituiva l’unica banca di respiro internazionale del meridione, è stato annientato ed è oggi nient’altro che una succursale di Banca Intesa. Con la conseguenza che le richieste di finanziamento che riguardano Napoli e la Campania sono decise a Torino! Questo perché su di esso gravava l’accusa di essere stato uno strumento di finanziamento di imprenditori vicini alla Democrazia Cristiana. L’Italgrani, a sua volta, società leader mondiale nel commercio del grano, tanto da essere stata decisiva nella soluzione della carestia che aveva attraversato la Russia nei primi anni ottanta, è stata dichiarata fallita addirittura contro la volontà dei suoi creditori, pur consapevoli delle sue difficoltà economiche. Sulla proprietà di Italgrani pesava il sospetto di un rapporto privilegiato con la dirigenza democristiana messa sotto accusa da Tangentopoli. Quelle strutture economiche non sono state più sostituite e si è assistito ad un finanziamento a pioggia alle Cooperative sociali, formidabile serbatoio di voti. In campo è restato solo lo strumento della repressione, che attraverso gli istituti della legislazione antimafia ha colpito con i sequestri e le confische qualsiasi situazione, nella quale si manifestasse anche il più debole sospetto di presenza della criminalità. Il risultato del contemporaneo agire di queste prospettive è che la città di Napoli, dal punto di vista sociale ed economico, è stata ridotta ad un cimitero, nel quale non vi è speranza per nessuno. A rendere la situazione ancora più drammatica è, poi, intervenuta la leggenda di Gomorra. Prima il libro di Saviano, poi la serie televisiva hanno creato un mito, sì negativo, ma pur sempre un mito e nel deserto di ogni futuro resta spesso l’unico mito a cui i ragazzi disagiati possono aggrapparsi.