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Reddito di cittadinanza
Mettere nel mirino il reddito di cittadinanza per far dispetto al Movimento 5 Stelle è l’ultima moda di questa fine estate. Il primo ad avere l’intuizione è stato Matteo Renzi, tanto da annunciare una raccolta firme per un referendum abrogativo. Ma visto che l’idea era così brillante anche Matteo Salvini ha pensato bene di lanciarsi a testa bassa nel tiro a bersaglio per il gusto di vedere la faccia irritata di Giuseppe Conte, di nuovo alleato, causa forza maggiore, sia della Lega e che di Italia viva. Non è chiaro se la proposta di Renzi sia figlia di un vecchio istinto rottamatore o di una visione del mondo profondamente ostile all’idea di un sussidio. Ma è probabile che le due motivazioni coesistano. Di certo, si rischia che a farne le spese sia quel milione e rotti di nuclei familiari (dati Osservatorio statistico dell’Inps) che beneficiano del reddito, per un importo medio di 557 euro. Ma sono soprattutto le argomentazioni con cui il leader di Italia viva bombarda la misura varata dall’odiato governo Conte uno a lasciare perplessi. «Fino a due mesi fa tutti dicevano che il “reddito” non si doveva toccare. Dai grillini allo stesso Pd», è la premessa del ragionamento che Renzi consegna alla Stampa. «Poi, appena io faccio uscire sul mio libro l’idea di un referendum, partono due diverse reazioni: la prima di chi dice, “tutto sommato abbiamo fatto un errore”, ovvero Salvini. Il quale fa un mea culpa incredibile, una straordinaria conversione. La seconda reazione è di Pd e 5stelle, che all’unisono hanno cominciato a dire che la legge si può migliorare». Sorvolando sull’aspetto autopromozionale del discorso, è la parte successiva del Renzi pensiero a lasciare spiazzati: «Ora, è evidente che c’è una parte di italiani che prende quel reddito e farà una battaglia in suo favore. L’assegno in parte va a povera gente davvero. Ma è una misura che incrocia anche un pezzo di criminalità, manovalanza che ha incassi illegali, a cui somma il “Rdc”», spiega Renzi. Ed è proprio a questo punto che il viso si contrae in un’espressione incredula e le domande sorgono spontanee: e chi vuoi che chieda di accedere a un sussidio se non la parte del Paese in maggiore difficoltà economica? E c’è da stupirsi che in mezzo a questa platea ci sia anche qualcuno non proprio in regola con la dichiarazione dei redditi? Magari costretto ad accettare più di un lavoro in nero pur di arrivare a fine mese? Perché il reddito di cittadinanza serve proprio a questo: a mettere una toppa sul disagio economico e spesso sociale. Anzi, se lo Stato riuscisse in tal modo a sottrarre anche una sola persona da un destino di manovalanza criminale avrebbe vinto. Certo, il reddito di cittadinanza non serve a molto se si limita, come accade oggi, a tamponare un’emergenza senza un sostegno reale all’inserimento lavorativo dell’interessato. Ma un conto è criticare le inefficienze del provvedimento (e cercare soluzioni per migliorarlo) e un conto chiederne l’abolizione, scandalizzandosi a ogni episodio di cronaca se un vero o presunto criminale oltre a delinquere percepisce pure il sussidio. Uno sport, quest’ultimo, praticato spesso e volentieri anche dai grillini, pronti a rispolverare tutto il vocabolario dell’intransigenza legalitaria per pulirsi il vestito, invocando punizioni esemplari e l’immediata sospensione del “beneficio”. Come se il “reato” cancellasse la “fame”, come se la punizione fosse più importante del disagio. Senza contare che le stesse argomentazioni adoperate da Renzi potrebbero essere utilizzate per smontare un altro provvedimento sacrosanto di welfare fortemente voluto dal suo governo: il Reddito di inclusione. O si presume che gli aiuti concepiti dal senatore di Rignano sull’Arno entrino esclusivamente nelle tasche di donne e uomini dalla fedina penale immacolata e senza alcun impiego irregolare? Quando per paura dei “furbetti” lo Stato rinuncia alla sua funzione vuol dire che ha smesso di essere Stato.