Pejmam Abdolmohammadi, professore di Relazioni internazionali nell’Università di Trento, analizza la crisi in Medio Oriente, a partire dall’attacco missilistico dell’Iran di martedì sera ai danni di Israele. Rispetto al passato lo scenario è mutato e quanto sta accadendo potrebbe determinare ribaltamenti interni, a partire proprio dall’Iran.

Professor Abdolmohammadi, l’Iran ha agito sapendo che provocherà una reazione durissima da parte di Israele?

Si tratta di una delle decisioni più irrazionali che la Repubblica Islamica abbia preso negli ultimi anni. Questo errore, pertanto, potrebbe essere fatale per la stessa sopravvivenza della Repubblica Islamica.

Oltre all'attacco diretto, l’Iran potrebbe incentivare il terrorismo di Stato in giro per il mondo?

Dipenderà dalla situazione che si delineerà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane. Ricordiamoci che esiste un sistema più largo, che va oltre la Repubblica Islamica, e che comprende, per esempio, anche Hezbollah, che potrebbe fare degli attentati. La situazione però è molto diversa adesso rispetto al passato. Stiamo assistendo alla disfatta di un intero ordine medio orientale. Non so se l’Iran abbia davvero la forza di reagire con l’arma del terrorismo, dato che la partita che si sta giocando è completamente cambiata.

In merito alla disfatta alla quale ha appena fatto riferimento, c'è anche la possibilità di un ribaltamento della situazione politica in Iran? Il popolo iraniano potrebbe riappropriarsi della propria nazione?

È una opzione da prendere in considerazione. È probabile che, come ci dimostra spesso la scienza politica, le guerre esterne dei regimi autoritari, si pensi all’Argentina nella guerra delle Falkland, con un attore che può essere più forte, in questo caso Israele, dal punto di vista della tecnologia militare, può in modo diretto o indiretto diventare una variabile positiva e favorevole per quell’80% dei cittadini contrari ai temi e ai metodi della Repubblica Islamica.

Stiamo assistendo alla disfatta di Hamas e Hezbollah potrebbe andare incontro allo stesso destino. Israele andrà fino in fondo?

Il 7 ottobre 2023, con le stragi che hanno riguardato i cittadini israeliani, è una data spartiacque. Israele non ha più interesse ad avere attorno a sé soggetti statali o non statali che utilizzano metodi improntati al terrorismo internazionale e volti a minacciare la su propria sicurezza nazionale. Da un anno a questa parte è stata adottata una strategia finalizzata a portare alla disfatta i proxy della Repubblica Islamica con quest’ultima che per anni ha dominato la regione.

Le decisioni prese dal primo ministro, Benjamin Netanyahu, stanno migliorando il suo rapporto con l’elettorato israeliano? Il gradimento di Bibi cresce nei sondaggi?

Sì, Netanyahu ha aumentato in questo anno i suoi consensi, soprattutto con l’eliminazione dei due grandi padrini, il capo di Hamas, Haniyeh, e il capo di Hezbollah, Nasrallah. Sicuramente Netanyahu è più forte anche a livello interno rispetto all'anno scorso.

Gli Stati Uniti affrontano la campagna elettorale con la crisi del Medio Oriente in corso. Stanno dimostrando di essere d'accordo con Israele o di essere accondiscendenti e deboli in questo momento?

Biden probabilmente è uno dei presidenti più deboli della storia degli Stati Uniti. A mio avviso, compete con Jimmy Carter per quanto riguarda l’inefficienza e la pessima amministrazione. Anche per questo motivo Netanyahu sta correndo e sta guardando il calendario per raggiungere risultati per lui sempre più favorevoli non entro il 7 ottobre. La data che interessa al premier israeliano è il 5 novembre, quando si voterà per le presidenziali negli Stati Uniti. Netanyahu vorrebbe raggiungere i suoi obiettivi prima dell’esito delle elezioni americane e nutre dei dubbi sulla vittoria di Trump. Il primo ministro israeliano si sta muovendo da solo ed è consapevole che il successo o l’insuccesso della sua azione dipende solo da lui, non degli americani, dagli inglesi o dai francesi.