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Meri Calvelli vive e lavora a Gaza da tanti anni con la cooperazione italiana. Qualche giorno fa era in procinto di ritornare in Medio Oriente, ma i fatti del 7 ottobre hanno per il momento sospeso tutto. «In questa terribile situazione, ancora una volta, a pagare il prezzo maggiore saranno i civili», dice al Dubbio. «Se fosse per me – aggiunge – partirei già domani, ma la vedo dura. Ogni ora che passa le notizie che giungono da Gaza sono sempre più preoccupanti».
Le attività della ong sono molto importanti e lo saranno ancora di più, considerato quello che sta succedendo?
Sicuramente. Offriamo un sostegno prezioso alla popolazione civile. Io lavoro con una delle tante ong italiane che operano nei territori palestinesi e in Israele. Concentriamo le nostre attenzioni soprattutto nella striscia di Gaza. Lì stiamo portando avanti una serie di progetti umanitari di emergenza e di sviluppo, finanziati dai vari soggetti, compresa l’Agenzia italiana di cooperazione allo sviluppo, senza tralasciare l’apporto dell’Unione europea e di alcune fondazioni. I destinatari del nostro lavoro, è bene ribadirlo sempre, sono i civili. Nella striscia di Gaza la situazione di emergenza si prolunga da tempo. I progetti, di conseguenza, hanno anche loro un carattere emergenziale, dato che ogni volta ci si deve rimboccare le maniche e si deve ricostruire quello che viene distrutto.
Occorrerà moltiplicare gli sforzi, considerato quello che sta accadendo?
Purtroppo, è proprio così. Accade sempre la stessa cosa. È una sorta di ricostruzione continua. Non si fa in tempo a costruire che occorre iniziare daccapo. Non si dà troppa attenzione a questo aspetto o non nel modo giusto. I progetti di emergenza e di sviluppo che seguo sono dell’Associazione cooperazione e solidarietà, riconosciuta dal ministero degli Esteri. Siamo lì da tanti anni. Ho visto purtroppo, tanti attacchi e tante situazioni di conflitto. Sono sempre stata presente sul campo, in occasione di momenti drammatici, e la nostra organizzazione si è sempre fatta trovare pronta nel mettere a disposizione della popolazione civile competenza e professionalità. È solo un caso che questa volta non mi sia trovata a Gaza.
L’assedio totale di Gaza fa immaginare questa volta il peggio?
La popolazione paga il prezzo più alto legato all’occupazione e agli attacchi militari. Adesso la situazione degli sfollati è gravissima. Sono stati bloccati tutti gli aiuti umanitari che in genere arrivano a Gaza. Mancano elettricità, cibo e acqua. Come si fa a vivere in queste condizioni? Non dimentichiamo che Gaza è una prigione da sempre. È inutile stupirsi rispetto a quanto accaduto pochi giorni fa. Prima o poi ci sarebbero state, spiace dirlo, delle reazioni forti. Da sempre la popolazione si trova in condizioni di vita impossibili, rese ancora più drammatiche dal blocco degli aiuti umanitari. L’operazione militare di terra che Israele sta approntando renderà tutto più difficile e problematico anche se i bombardamenti hanno già fatto ingenti danni, buttando giù mezza Gaza, come già successo altre volte.
La reazione di Israele era prevedibile, però…
I fatti del 7 ottobre sono stati eccezionali. Non è mai successo che i palestinesi attaccassero Israele. A tutti è tornata in mente la guerra del Kippur, quando gli Stati arabi attaccarono Israele. L’eccezionalità è che sabato scorso gli attacchi sono stati fatti da un gruppo non paragonabile ad un esercito, dai palestinesi che vivono nella striscia di Gaza. Indipendentemente dai giudizi che si possono dare, non deve stupire perché da troppo tempo a Gaza si vive in una condizione di isolamento e frustrazione. In questo contesto non bisogna dimenticare la popolazione civile. La nostra organizzazione non prende in considerazione le posizioni dei governi e delle leadership. Il nostro intervento è tutto rivolto alla popolazione civile, che paga il prezzo più alto da sempre.
Anche il vostro lavoro subirà rallentamenti e disagi?
Gli aeroporti sono chiusi, lo stesso vale per il ponte di Allenby che conduce dalla Giordania verso Israele. Io dovevo già essere a Gaza. Avevamo tanti impegni sul campo con la cooperazione per proseguire i numerosi progetti già avviati. Se fosse possibile, rientrerei a Gaza già domani, ma la vedo dura. Quando ritornerò, troverò una situazione ancora più grave. Bisogna metterlo in conto. Gli aiuti umanitari non vengono più distribuiti, come detto. I civili, quando ci sono i bombardamenti, sono del tutto indifesi. O stanno dentro le case oppure in strada. Le probabilità di essere colpiti sono altissime. Non possibile rifugiarsi nei bunker come avviene in altri posti. Una notizia, tutta da verificare, che giunge dai miei contatti palestinesi, è quella relativa all’uso del fosforo bianco. Venne già utilizzato nella prima guerra del 2008- 2009, denominata “Piombo fuso”.