Il 5 dicembre 2020 Giuseppe Santalucia veniva eletto presidente dell’Associazione nazionale magistrati. A breve terminerà il suo mandato.

Contento di lasciare?

Non contento ma soddisfatto del lavoro svolto da me insieme al Comitato direttivo centrale e alla Giunta esecutiva.

Dica la verità: le dispiacerà non andare tanto in televisione come in questi ultimi mesi?

No, io partecipavo in rappresentanza dell’Anm e sono soddisfatto di come l’associazione sia riuscita a riconquistare lo spazio che le compete nel dibattito pubblico sulla giustizia.

Qual è la prima cosa che farà da “uomo libero”?

Un viaggio.

Lei è presidente di sezione in Cassazione. Continuerà a fare solo quello o ha altre prospettive?

È già molto appagante fare il magistrato, non ho bisogno di altro.

Gira voce che voglia candidarsi al Csm tra due anni.

Notizia infondata.

La vedremo mai candidato in politica?

Mai.

In questi anni si è fatto più amici o nemici, dentro e fuori la magistratura?

Dentro la magistratura spero molti amici e fuori dalla magistratura non credo che si possa parlare di amicizia, ma credo che si possa parlare di rispetto.

Lei da presidente Anm ha avuto a che fare con tre ministri: Bonafede, Cartabia, Nordio. Chi è quello più affine intellettualmente a lei?

Non li ho conosciuti talmente a fondo da poter apprezzare affinità intellettuali.

Chi quello più simpatico?

Ovviamente il ministro Nordio ha grande simpatia umana, ma allo stesso modo sono entrato in relazioni di empatia sia con il ministro Bonafede che con la Ministra Cartabia.

Quello con cui ha avuto più momenti di tensione?

Non parlerei di momenti di tensione personale, ma certamente con il ministro Nordio la tensione è legata al tema delle riforme costituzionali, rispetto alle quali l’Anm è fortemente contraria.

Qual è stato il miglior ministro della Giustizia che lei ricordi e perché?

Certamente annovererei il ministro Flick, che era stato lungimirante su alcune riforme, penso ad esempio a quella sulle cosiddette pagelle. La magistratura avrebbe dovuto sostenere di più quelle riforme. E poi Orlando, il cui lavoro ho conosciuto da vicino e che ha dimostrato che si possono fare tante cose per migliorare la giustizia senza toccare minimamente il quadro costituzionale e senza avere la pretesa di riforme palingenetiche di sistema.

Tre nomi di giuristi in circolazione con cui andrebbe a prendere un caffè ora che ha più tempo libero?

Tra i processualpenalisti, a cui sono legato da esperienze professionali per me importanti, direi Giorgio Spangher, Glauco Giostra, Francesco Caprioli.

Che Anm ha trovato e che Anm lascia?

Avevo trovato una Anm disorientata, in grande difficoltà perché travolta dal cosiddetto scandalo Palamara, attraversata da diffidenze interne. Credo di lasciarne una unita, con maggiore compattezza interna e con quella serenità che si è tradotta in una capacità di essere interlocutore credibile.

“Largo ai giovani” dicono molti nell’associazionismo, anche pensando alle nuove elezioni del “parlamentino”. Lei e quelli della sua generazione avete allenato un buon vivaio?

Spero di sì, e la prima cosa che si deve fare perché i meno anziani possano dare il meglio di sé è mettersi da parte.

Ma resterà sempre a disposizione dell’Anm, ad esempio in vista del referendum costituzionale?

Ci sarò, resto un socio dell’Anm e sarò presente nell’associazionismo giudiziario che considero un’esperienza complementare al lavoro giudiziario.

Che caratteristiche dovrebbe avere il futuro presidente dell’Anm?

Capacità di ricercare, senza stancarsi mai, un punto di convergenza delle varie visioni che possono esserci all’interno dell’Anm. Fermezza nel rappresentare la linea che si è formata attraverso quella estenuante ricerca di un punto di convergenza.

Qual è stato il momento più complicato in questi quattro anni?

L’inizio, quando l’Anm, dopo lo scandalo Palamara, faceva fatica a dare il meglio di sé.

Cosa si rimprovera in questi quattro anni?

Spetta agli altri giudicare. E non lo dico con superbia o iattanza. Certamente non sarò sempre stato all’altezza, questo lo do per scontato, però non ricordo momenti in cui, ripensandoci, avrei potuto fare diversamente.

E che mea culpa dovrebbe fare la magistratura? Non potete essere perfetti.

Dobbiamo recuperare un rapporto di maggiore confidenza con l’utenza nel lavoro quotidiano. L’immagine della magistratura dipende non soltanto dall’Anm e quindi dal suo organo di rappresentanza, ma anche da come ciascun magistrato ogni giorno interpreta il suo ruolo.

Che bilancio dà dei rapporti con l’avvocatura?

Con il Cnf abbiamo avuto meno momenti di incontro ma ho grande stima e considerazione del presidente Greco. In generale, con l’avvocatura i rapporti sono stati buoni; abbiamo ricercato sempre momenti di dialogo. Poi l’avvocatura non si identifica solo con l’Unione delle Camere penali; con quella civile, ad esempio, abbiamo avuto momenti importanti di condivisione.

Invece come è cambiata la politica in questi 4 anni?

Penso che l’attuale maggioranza di governo sconti un errore di fondo nel rapportarsi al mondo giudiziario, come se – e mi riferisco al tema immigrazione - il lavoro dei giudici fosse un ulteriore elemento di inutile complessità rispetto a problemi già molto complessi che la politica si trova ad affrontare.

Dobbiamo temere un ritorno del fascismo in Italia?

Il ritorno di fenomeni sociopolitici credo non si riproponga mai nella storia. Quello a cui dobbiamo stare attenti, ma non solo in Italia, è lo strisciante mutamento culturale che riguarda molti Paesi dell’Occidente: non bisogna mai pensare che una maggiore efficienza sul tema della sicurezza, ad esempio, si raggiunga comprimendo i diritti.

Vorrebbe essere nei panni di un giudice della Cgue che a febbraio deciderà sulla indicazione di un Paese terzo come “sicuro”?

Credo che non siano panni scomodi: la giurisprudenza interna, sia di merito che di legittimità, ha dato importanti risposte e credo che la Cgue sarà in linea di continuità con quelle pronunce ultime della Corte di Cassazione.

Che giudizio dà della stampa italiana nel raccontare la politica giudiziaria?

C’è sempre una tendenza a raccontare dei fatti di giustizia secondo un canovaccio un po’ abusato: quello di una guerra, di una lotta tra magistratura e politica. Ricorrono spesso termini che in qualche modo ingabbiano la dialettica in schemi belligeranti, quando invece è una dialettica autenticamente democratica.

Pronostico sul referendum sulla separazione delle carriere: chi vince?

Vinceranno i no: il popolo italiano saprà apprezzare il fatto che questa Costituzione ha dato tanto e ha molto da dare e non si farà ingannare da una semplificazione quella sì pericolosa per cui il referendum potrebbe essere una sorta di sondaggio di gradimento sulla magistratura.

Il Papa ha invocato amnistia e indulto. Una volta Nordio era d’accordo e si diceva vicino a Marco Pannella in questo. Ora ha cambiato idea. Solo colpa della realpolitik?

Il ministro fa parte di una compagine di governo e quindi deve probabilmente mettere da parte le sue idee personali che esprimeva quando era un libero pensatore.

Il Presidente Mattarella indirettamente ha replicato al sottosegretario Delmastro delle vedove: “I detenuti devono potere respirare un’aria diversa da quella che li ha condotti alla illegalità”, ha detto il capo dello Stato nel suo discorso di fine anno. Ha provato una “intima gioia” nel sentire quelle parole?

Sì. Le indicazioni del Presidente sono assolutamente preziose: non c’è migliore politica di sicurezza di quella che scommette sul rispetto all’interno del carcere dei diritti dei detenuti, perché solo in questo modo, una volta restituiti alla società, avranno maggiori capacità di non ricadere negli errori passati; solo un carcere rispettoso dei diritti dà sicurezza.