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La frammentazione è un tratto tipico, endemico della sinistra. È uno di quei mali che, ciclicamente, riemerge dal dna di quel campo. La destra, anche nella versione berlusconiana della seconda Repubblica, ha avuto invece nella compattezza e nella solidità le sue armi migliori. Non che mancassero le differenze di programma e di visione, ma tutto veniva ricondotto ad unità dalla capacità di leadership di Silvio Berlusconi – e, ovviamente, di Umberto Bossi – e dalla presenza di un blocco sociale compatto che condivideva ambizioni, desideri, aspirazioni.
Il populismo sovranista figlio della crisi del 2007 ha dato il primo colpo alla struttura di quel mondo, Covid- 19 può dargli quello fatale. Tra Forza Italia da un lato, Lega e Fratelli d’Italia dall’altra c’è oggi un abisso politico di toni, proposte e visioni. Il centrodestra non è semplicemente, come ha avuto modo di dire Antonio Tajani, «variegato» e non è nemmeno più una “categoria dello spirito” come disse, ormai due anni fa in pieno Conte 1, Giancarlo Giorgetti. Banalmente il centrodestra non è. Non è più un progetto di governo, non è più un’idea di mondo, non è più stati d’animo, sentimenti, letture del presente condivisi.
Ad essere cambiato è, in primo luogo, il popolo del centrodestra che non è più quel blocco sociale compatto che negli anni della Seconda Repubblica ha rappresentato il cuore pulsante del centrodestra. Quel popolo è diviso, spaccato. Una parte ha saputo reggere l’urto delle varie crisi che hanno colpito l’Italia e l’Europa mantenendo una postura positiva; un’altra, maggioritaria, ha arretrato, si è messa sulla difensiva, sviluppando una visione pessimistica. E se la prima crede ancora nella società aperta e globalizzata, in un mondo con i confini aperti alle merci e all’economia ( ma non ai migranti), l’altra vede nel ritorno dei confini nazionali, nella protezione, il rifugio davanti ai pericoli del presente. Il potere è stato - e ancora resta in molte zone d’Italia - un collante fondamentale a livello regionale e territoriale, ma nella partita nazionale ed europea quel legame finisce per svanire. Non è, ovviamente, una novità. Ma Covid- 19 sancisce la fine di un percorso, svela la realtà, toglie di alibi. Ed è l’Europa, ancora una volta, il banco di prova che definisce il campo, anzi la separazione del campo. Inevitabilmente. La Lega sovranista vede in Covid- 19 e nella devastante crisi economica che l’epidemia ha attivato l’occasione per far esplodere le contraddizioni dell’Unione e far saltare il progetto europeo.
Quella postura moderata che tanti hanno cercato di imporre a Matteo Salvini - o che si sono ostinatamente convinti di vedere nel leader della Lega anche a dispetto della realtà politica - è sparita anche dai retroscena dei quotidiani. Nonostante i riflessi occhiali da vista degli ultimi giorni, il segretario della Lega resta il politico con la felpa. Forza Italia, saldamente nel campo del popolarismo europeo accanto a Angela Merkel e alla presidente della Commissione Ursula Von Der Leyen, non può scivolare lungo la deriva dell’Italexit. La capacità di Silvio Berlusconi di farsi concavo e convesso sui temi europei, mostrando alternativamente europeismo e una certa dose di scetticismo, non è più adeguata ai tempi. È la stagione delle scelte di campo. Nette, non ambigue, non contraddittorie. E così mentre il senatore e professore no- euro Bagnai chiedeva le dimissioni del governo e in aula ribadiva il totale no della Lega al Mes, Antonio Tajani sottolineava l’appoggio all’azione dell’esecutivo in Europa, allontanava scenari di un possibile avvicendamento a Palazzo Chigi e poneva Forza Italia sul sì al Mes. Due mondi agli antipodi che potevano convivere nella politica nostrana pre- Covid, ma che sono destinati a un percorso di separazione.
Sarà un percorso lento, ma inevitabile. Questo europeizzerebbe il confronto politico italiano, lo metterebbe in linea con quanto accade nel resto del vecchio continente dove le forze popolari, conservatrici o cristiano- democratiche fanno da argine al populismo sovranista e non cercano in quel campo sponde per qualche strapuntino di potere. Ma questo non basterebbe ancora a rendere il nostro mondo politico più conforme a quello europeo: servirebbe che anche altri facciano chiarezza su obiettivi, progetti e visione dell’Unione. Il dibattito e lo scontro per ora sopito tra Pd e M5S sul Mes sono lì a ricordarci come anche nella maggioranza ci siano delle contraddizioni che possono rallentare la ripartenza.