PHOTO
Giuseppe Spadaro, presidente del tribunale dei minori di Trento
«La repressione crea solo ulteriore emarginazione. Trattare i ragazzini come criminali adulti è un errore: li trasformerà in reietti». A parlare è Giuseppe Spadaro, presidente del Tribunale dei minori di Trento, da sempre in prima fila per la tutela dei minori. Un lavoro, il suo, che svolge senza timore di apparire controcorrente, con un unico faro: il superiore interesse dei bambini.
Presidente, il ministro Salvini ha detto: se un ragazzino uccide deve pagare come un 50enne. È d'accordo?
No. Il nostro ordinamento prevede un particolare riguardo nel processo penale per i minorenni tenendo conto che la loro personalità è in formazione. Il nostro Paese ha recepito nel 1991 la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e il settore penale minorile è fedele al dettato costituzionale, che prevede la funzione rieducativa della pena, più di quanto non lo sia per il penale riferito agli adulti. Andrebbe potenziato il dipartimento giustizia di minorile con personale altamente specializzato nelle carceri e, in particolare, nelle comunità. L’esecuzione della pena è essenziale, ma in ottica rieducativa o, ancor meglio, di recupero sentimentale emotivo sociale.
Nella sua esperienza di presidente del Tribunale dei minori, che idea si è fatto della criminalità minorile?
Ho conosciuto diverse realtà, passando dalla Calabria all’Emilia Romagna e ora nel Trentino: ogni territorio ha una sua particolare storia. Ma ciò che ho potuto notare è una fascia ampia di crimini minorili che nasce da contesti di grave, gravissima deprivazione socioeconomica e familiare, nei quali l’aggancio con la scuola si è perso da tempo. Parliamo di ragazzi che si sentono respinti dalla società “perbene” e che sfidano, attraggono l’attenzione, cercano affermazione per vie non lecite o vogliono prendersi beni o posizioni sociali cui non avrebbero accesso in altro modo. Ci sono poi i ragazzi che commettono reati provenendo da situazioni di violenza subita, anche familiare, per cui il loro atteggiamento ripropone modelli che gli adulti hanno trasmesso. A volte sono forme di adesione a quei modelli per entrare in un cerchio più “elitario”, ma in senso deviante. Ci sono infine ragazzi “insospettabili”, per i quali l’accesso all’illegalità è più connesso al vuoto di riferimenti adulti significativi, al vuoto di impegni, al pieno di relazioni poco consistenti, o solo virtuali, alla mancanza di empatia verso gli altri, al pieno di immagini adrenaliniche che li spingono a sentirsi invincibili e impunibili… E questa terza parte forse è quella comparsa più di recente, mentre le altre due erano ben visibili, credo, anche decenni fa e ora sembrano sorpassate dall’ultima. Il punto è che, invece, convivono tutte e tre.
Come si risolve la piaga dei giovanissimi che commettono reati?
Facendo cose che hanno una incidenza reale sulla loro vita, pensate per tutte le forme di devianza minorile e utili anche per gli adulti: contrasto alle disuguaglianze, all’abbandono scolastico, alla solitudine delle famiglie, alle dipendenze. Tutte, inclusa - ma non solo - quella dal web. Ma anche investendo sulle capacità, i talenti, la creatività, il valore dell’amicizia che per questi ragazzi è ancora fortissimo, ma non deve diventare settario, non deve diventare clan. È necessaria anche l’educazione alla cittadinanza e la creazione di opportunità di aggregazione sane, dove ora mancano. E poi bisogna intervenire per contrastare i fenomeni di bullismo. Niente risolve i problemi da solo. Serve tanto lavoro di rete tra giustizia, scuola, famiglie, terzo settore e servizi sociali. Ma anche educazione alla legalità, perché i ragazzi sappiano che a 14 anni sono già imputabili, quindi educazione alla responsabilità. A rischiare, ma per il bene comune.
C'è chi ha proposto di abbassare l'età imputabile. Sarebbe una soluzione?
No. L’età imputabile è già fissata a 14 anni. Ci sono Paesi dove è fissata a 12 anni e non hanno condizioni migliori delle nostre. Bisogna andare alla radice. E le proposte di spingere sui lavori socialmente utili, per esempio, è già presente nel penale minorile, con le messe alla prova, dove già da decenni si sperimenta anche la giustizia riparativa, mediazione penale eccetera. Solo che lo si fa a macchia di leopardo e d’ora in avanti potrebbe svolgersi in modo più organico.
Non serve anche maggiore tutela?
Assolutamente. Va potenziata e non distrutta, come si è fatto alimentando un'immagine di servizi sociali e giustizia minorile nemici delle famiglie, e non, invece, presidi a protezione dell’infanzia maltrattata: è stato deleterio. Ci sono famiglie in difficoltà che non chiedono aiuto per paura - o servizi paralizzati che non intervengono per paura - e questo lascia i bambini soli in situazioni di deprivazione, di abbandono o di violenza, senza aiuti e senza la possibilità di altre relazioni sane con adulti interessati a loro. Disinvestire sulla tutela dei bambini produce inevitabilmente una fascia più ampia di adolescenti sofferenti, sia che agiscano contro se stessi o contro gli altri.
Misure ulteriormente punitive rischiano di marginalizzare i ragazzi più disagiati, dunque?
Certamente sì. Mentre si risparmia sulla scuola, la sanità e il sociale, mentre l’ultimo rapporto Istat conferma che la povertà si eredita, accrescere la repressione è come partire dai sintomi, essendo tra coloro che quei sintomi hanno creato.
Gli strumenti attuali bastano? E il nuovo decreto è efficace?
Non parlo di decreti da approvare perché non ritengo possa farlo un semplice giudice se non nelle sedi istituzionali di consultazione della magistratura. Se per “strumenti attuali” si intendono le norme, forse potrebbero bastare, soprattutto se si ripensasse l’esigenza di una giustizia minorile specializzata e dotata di quello che le occorre per funzionare, in tutta Italia, con organici adeguati e iper- specializzati. Se per “strumenti attuali” si intendono le risorse disponibili allora no, non bastano. È poco il personale, è insufficiente la formazione, è arrugginito il lavoro di rete… Tanto, tantissimo dovrebbe essere cambiato. Non però a partire dalle norme, ma a partire dalle prassi, dalle risorse, dall’organizzazione del lavoro dentro e tra tutti gli attori della rete, includendo tutti i soggetti che le ho già elencato, come magistratura, scuola e tutti gli altri.