PHOTO
Anni dopo, Spielberg spiegò che quel suono – un lamento, distorto e metallico, l'urlo d'agonia di un mostro – mentre l’autocisterna precipita, era un effetto sonoro preso da un B- movie sui mostri genere Godzilla: aveva rubato quel suono dal verso di un dinosauro di un vecchio film degli anni ' 30. Non solo, ma tre anni dopo, girando Lo squalo, decise di utilizzare ancora quel lamento mentre l'animale muore, un modo per ringraziare il suo Duel per averlo portato al successo.
Perché è di Duel che stiamo parlando: c’è un tranquillo commesso viaggiatore, perso nei suoi pensieri, che sta compiendo un viaggio in auto per lavoro, e che su una strada semi- deserta supera una vecchia, lenta autocisterna che emette fumo denso dal tubo di scappamento. Poco dopo il bestione lo supera di gran carriera per poi rallentargli davanti. David di nuovo supera l'autocisterna, il cui autista s'attacca alle trombe, offeso dall'oltraggio.
È da qui che inizierà un vero e proprio “duello” all’ultimo sangue tra l’auto e l’autocisterna – un Peterbilt 281 del 1955, scelto da Spielberg perché, rispetto ai camion a muso piatto il Peterbilt aveva il motore davanti e ciò gli conferiva la faccia da cattivo – che finirà appunto con la caduta del bestione nel canyon.
Non so dire se la metafora sia proprio calzante, ma a me a vedere lo scontro tra Franco Di Mare, direttore di Rai3, e Fedez è venuto in mente Duel. Di Mare si muove come una vecchia benché potente autocisterna, è lenta ma inesorabile, ha il motore davanti e gli fa una faccia cattiva alla Rai; Fedez viaggia su un’auto leggera, scatta, scarta, improvvisa, è veloce, e alla fine vince. Da una parte i dinosauri, condannati all’estinzione che si sentono ancora i padroni delle strade, della terra; dall’altra, una nuova mutazione biologica – un po’ artista e un po’ manager, un po’ civico e un po’ politico – che prepara la trappola finale.
L’audizione di Franco Di Mare in Commissione Vigilanza è un lamento, distorto e metallico, l'urlo d'agonia di un mostro: ha portato le carte, le cose sono state manipolate. Parla come in un consesso di parrucconi che debbono discutere quale sia davvero il sesso degli angeli – a destra tiene i fogli con le frasi in rosso che Fedez ci ha fatto ascoltare nel suo video di denuncia sulla “presunta” censura, e a sinistra tiene i fogli con le frasi in giallo dove ci sono le frasi originali, che Fedez ha tagliato, spostato, manipolato. È fiero delle sue carte segnate in rosso e in giallo, dei suoi faldoni. La Rai è riuscita a fare un faldone anche di questo.
Usa aggettivi in continuazione, Franco Di Mare, per illustrare e condividere con i suoi parrucconi le parole della sua vicedirettrice, Ilaria Capitani: qui è “cristallina”, lì è “assertiva”, più in là ancora è “inequivocabile”. Mena sciabolate con l’aria di chi è sicuro di sé, della sua potenza, infastidito che qualcuno stia provando a superarlo. E neanche due minuti dopo – ecco già Fedez che torna a attaccarlo: ma se la Rai non c’entra nulla, se tutto è in capo alla società che organizzava, allora perché vi siete dati tanto da fare?
Veloce, pungente: pungente come un'ape, leggero come una farfalla – Fedez sembra Cassius Clay contro Foreman.
Scarta e mena, scarta e mena.
Qualcuno chiede a Di Mare – ma se siete così certi del vostro corretto operato e che Fedez abbia “giocato sporco”, perché non lo querelate?
«Stiamo valutando, risponde Di Mare, è un compito della nostra leadership».
Oddio, la leadership!
Nessuno sa chi sia, nessuno sa chi la guida, nessuno sa se poi c’è davvero un autista alla guida. Eccola la Rai, carrozzone da cui tutti chiedono che tutti si tengano alla larga, ma dove i partiti non fanno che inzupparci il pane, mettendo uomini di qua e uomini di là – una manna, una greppia. Intanto il mondo va avanti con Instagram, con TikTok, persino i giornali fanno fatica. Ma la Rai – un vecchio Peterbilt 281 del 1955, che emette fumo denso dal tubo di scappamento e non è mai cambiato – continua a pensarsi il padrone delle strade.