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Per realizzare l'impresa, davvero spericolata, di succedere a se stesso alla guida di un governo di segno opposto al precedente, Giuseppe Conte si è avvalso di molti appigli e appoggi. Certamente quello, decisivo, di Bruxelles, che lo aveva individuato come l'uomo capace di riportare l'Italia e l'M5S all'interno dell'ovile europeo. Probabilmente anche quello delle gerarchie vaticane, con le quali l'avvocato sembra avere un ottimo rapporto e che non sopportavano il barbaro del Viminale. Ma decisiva è stata anche la stima del capo dello Stato. Dire che Mattarella abbia voluto che Conte fosse di nuovo premier sarebbe esagerato. Ma di certo il suo silente semaforo verde ha agevolato di molto la difficile missione.
Il ruolo del presidente nella nascita del secondo governo Conte è stato in realtà estremamente prudente. Che il Colle preferisse, se appena possibile, evitare la fine della legislatura era ovvio e palese. Mattarella però ha evitato, nel torrido agosto, ogni esternazione, ha silenziato anche le ' voci dal Quirinale', si è impicciato direttamente il meno possibile. Se nel governo gialloverde rispondevano a lui, o almeno guardavano al Quirinale, figure chiave come il ministro dell'Economia, quello degli Esteri e col tempo sempre più anche il premier, nel governo attualmente in carica l'influenza del capo dello Stato è molto meno diretta. I colloqui tra il primo cittadino e il primo ministro però sono continuati, spesso con la dovuta discrezione. I consigli non sono mancati e non mancheranno in futuro.
Però quando Conte ha fatto capire allo staff del Quirinale che una copertura del presidente sul Russia- gate versione italiana, quello che lo coinvolge in prima persona, sarebbe stato prezioso e assai apprezzato, la risposta è stata gelida. Nel giro di una giornata, anzi, Conte ha dovuto smentire di aver mai messo al corrente il presidente degli incontri tra il ministro della Giustizia degli Usa e i vertici dei servizi italiani. Un particolare, quella notifica dei meeting al presidente, che avrebbe rappresentato il miglior scudo per Conte ma che il Colle ha preteso che fosse invece smentita.
E' un passaggio significativo. Mattarella si augura che il governo regga ma non ha alcuna intenzione di tenerlo in vita a tutti i costi. Non si esporrà per difendere un Giuseppi Conte passato nel giro di pochi giorni da una postazione fortissima a quella opposta. E neppure ha intenzione di accanirsi terapeuticamente per tenere in vita la legislatura. Se la maggioranza chiederà in futuro, in modo compatto, un ricambio a palazzo Chigi non lo negherà certo, anche se al momento considererebbe l'ipotesi più surreale che inopportuna. Ma se il governo cadesse per lo sfarinamento della maggioranza non tenterebbe la carta azzardata di un terzo governo pur di evitare le elezioni e la vittoria del centrodestra. Scioglierebbe le camere immediatamente, salvo dar vita a un governo di garanzia ma solo per gestire la fase elettorale qualora Conte si candidasse.
La carta delle elezioni non è certo quella preferita da Mattarella. Ma è sul suo tavolo e non è considerata un tabù. Sin dalle elezioni del 2018 il presidente si è fatto orientare da una scelta di fondo: non apparire in alcun modo ' il nemico di Salvini', come Oscar Scalfaro era stato ' il nemico di Berlusconi'. La responsabilità di reggere non tanto alla manovra, essendo una crisi ora di fatto fuori discussione, ma alla molto più pericolosa fase successiva, insomma, è tutta sulle spalle della maggioranza e del presidente del consiglio. Senza spalle coperte o reti di protezione.
In buona parte quella tenuta, e anche il sostegno discreto che arriverà o meno dal Colle, dipende da due fattori essenziali. Il primo è l'unità del centrodestra. Se tre leader della destra si fossero presentati insieme sul Colle per chiedere le elezioni, a agosto, le chances di evitare il voto in autunno sarebbero precipitate. Il presidente avrebbe avuto infatti notevoli difficoltà a contrastare una richiesta unitaria da parte di chi alle europee aveva ottenuto quasi il 50% dei consensi. In quell'occasione fu l'errore di un Salvini in preda a sindrome di onnipotenza che spianò la strada al secondo governo Conte, ma difficilmente il leghista ripeterà l'errore. La seconda condizione è l'esistenza o meno di un orizzonte unitario perle forze della maggioranza. Se quell'obiettivo sarà ancora in campo governo e maggioranza avranno una ragione d'essere oltre la paura di Salvini. In caso contrario quella ragion d'essere verrà a mancare e, soprattutto se le regionali assegneranno vittorie nette alla destra anche il sostegno del Colle diventerà nella migliore delle ipotesi molto tiepido. Mattarella non farà nulla contro il governo neppure in quel caso. Ma nemmeno a favore, neppure nelle forme più discrete.