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Nomina sunt numina, come si diceva nell’antica Roma. Le parole sono divinità. E le parole, come le divinità, vanno rispettate. Vanno trattate con riguardo. Non se ne può abusare. Perché le parole possono essere paragonate alla moneta. Più se ne stampa e meno vale. Sergio Mattarella, sulla scia di Alcide De Gasperi, una volta esposto il proprio pensiero non ha null’altro da aggiungere. Non è un fine dicitore come Sandro Pertini, che recitava la parte di presidente della Repubblica con una maestria tipica di un attore consumato.
Le parole dell’attuale inquilino del Quirinale, più che ascoltate, vanno lette per intenderne bene il significato. Tant’è che ha avuto un grande successo il fuorionda dove dice a un interlocutore non ripreso dalla televisione che anche lui ha i capelli un po’ arruffati perché non può andare dal barbiere. Mentre nei suoi discorsi pubblici può apparire un po’ impacciato. In occasione della ricorrenza del 25 aprile Mattarella, come sua abitudine, ha misurato le parole. Ma quelle contenute nel suo messaggio agl’italiani vanno nella giusta direzione. Come la goccia scava la pietra, così il capo dello Stato invita i suoi concittadini a legare i fili spezzati della nostra storia nazionale.
Perché senza la consapevolezza del proprio passato, una comunità nazionale non può guardare al proprio futuro. Può solo tirare a campare immersa in un presente, anche a causa del virus che l’ha colpita, tutt’altro che roseo. E tuttavia, osserva Mattarella, tutti coloro che si trovano in prima linea per combattere la pandemia «manifestano uno spirito che onora la Repubblica e rafforza la solidarietà della nostra convivenza, nel segno della continuità dei valori che hanno reso straordinario il nostro Paese».
È su questo tasto che il Presidente non si stanca di battere. Ma sono tante le prediche inutili di stampo einaudiano che caratterizzano questo messaggio. Valga in particolare questo passaggio, rivolto a una classe politica che sembra aver perduto la diritta via: “Nella nostra democrazia la dialettica e il contrasto delle opinioni non hanno mai, nei decenni, incrinato l’esigenza di unità del popolo italiano, divenuta essa stessa prerogativa della nostra identità. E dunque avvertiamo la consapevolezza di un comune destino come una riserva etica, di straordinario valore civile e istituzionale”. Ancora: «L’abbiamo vista manifestarsi, nel sentirsi responsabili verso la propria comunità, ogni volta che eventi dolorosi hanno messo alla prova la capacità e la volontà di ripresa dei nostri territori».
Le parole hanno la loro importanza, si capisce. Ma abbiamo bisogno soprattutto di esempi. E Mattarella lo ha testimoniato salendo un passo dopo l’altro i gradini dell’altare della Patria. In un silenzio e in una solitudine contrapposti agli applausi tributati negli anni ruggenti a Piazza Venezia dal popolo al Duce. Dopo aver deposto una corona davanti al sacrario del milite ignoto, per qualche minuto è rimasto sull’attenti. E in un fiat gli deve essere passata davanti agli occhi l’intera storia della nostra cara Italia. I patrioti che nei primi anni del Risorgimento hanno lottato per un’Italia unita a costo della loro vita. Le tre guerre d’indipendenza combattute con alterna fortuna da un pugno d’eroi guidati da Giuseppe Garibaldi. La prima guerra mondiale con i suoi martiri, da Cesare Battisti a Nazario Sauro, e una Vittoria che unisce alla Madre Patria Trento e Trieste.
La sciagurata guerra di Mussolini, che ci è costata lacrime e sangue e una guerra civile. La peggiore di tutte le guerre. Un omaggio ai caduti, a tutti i caduti. Il capo dello Stato conosce bene le due scritte latine incise sul Vittoriano, un monumento in omaggio a Vittorio Emanuele II, il Padre della Patria. La prima dice: “Civiun libertati”. Alla libertà dei cittadini. La seconda: “Patriae unitati”. All’unità della Patria. Di qui occorre partire per dar vita a un nuovo Risorgimento.
Un anticipo della nostra Costituzione repubblicana, del resto. Perché in polemica con tutte le dittature la nostra Carta inneggia alle libertà e in un quadro regionale, un quid medium tra il vecchio Stato accentrato di marca napoleonica e lo Stato federale di stampo statunitense, sottolinea che la Repubblica è una e indivisibile.
Mattarella, che rappresenta così degnamente l’unità nazionale, proprio per questo si batte. Al pari di Carlo Azeglio Ciampi. Con questa bella pagina che ha scritto all’altare della Patria, in solitudine e in rigoroso silenzio, intende trasmettere ai suoi concittadini sovente immemori delle antiche glorie l’orgoglio di essere Italiani. Con la I maiuscola. Un silenzio, quello del presidente della Repubblica, cantatore più di mille discorsi.