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In Italia ormai questa è la norma. Almeno da un quarto di secolo. E qualcosa di molto simile è successo recentemente anche in Francia, dove l’iniziativa giudiziaria ha raso la suolo il partito socialista. Sta avvenendo negli Stati uniti, dove la reazione dei democratici alla imprevista sconfitta elettorale di Hillary Clinton si è concentrata nella richiesta di intervento della magistratura: sia per bloccare l’azione di Trump, sia per cercare un pertugio che possa portare all’impeachment.
Possiamo continuare con gli esempi. Citando il Brasile, cioè il più grande paese latinoamericano, dove i giudici hanno messo sotto scacco il partito dei lavoratori, arrestato molti suoi dirigenti e ora stanno cercando di incarcerare il leader: il popolarissimo Luis Ignacio Lula La Spagna non sfugge a questo schema. E lo applica nel modo più clamoroso, con una azione che comunque – per i tempi e i modi nei quali avviene – si presenta come l’atto autoritario più arrogante della recente storia europea. Arresti, perquisizioni, ancora arresti, che riguardano i vertici dello schieramento politico che sostiene il referendum autonomista e arrivano a trascinare dietro le sbarre ministri locali e un bel numero dei loro principali collaboratori. Non si era mai visto niente di simile, in democrazia. L’opposizione catalana fuorilegge. Il risultato è uno scontro aperto, drammaticissimo, tra Madrid e Barcellona, e un vero e proprio terremoto politico di dimensioni europee.
La strada seguita dal premier Rajoy e dal suo partito è stata quella giudiziaria: non sentendosi in grado di sostenere lo scontro politico con gli autonomisti catalani, il premier si è rifugiato dietro il potere dei magistrati, li ha sollecitati, si è appoggiato a loro, e ha messo in moto la polizia. Vere e proprie retate, che avvengono sulla base di supposti reati politici, non si vedevano da tanti tanti anni. E fanno ancora più effetto proprio perché avvengono in Spagna, l’ultimo tra i paesi dell’Europa occidentale ad essersi liberato da un regime autoritario ( con la morte di Francisco Franco nel novembre del 1975), e l’ultima ad aver vissuto un tentativo di colpo di stato ( nel febbraio del 1981, ad opera del colonnello Tejero che occupò il Parlamento ma poi fu arrestato dai militari lealisti).
Però il problema non è solo quello delle suggestioni politiche e storiche, né la paura di una svolta autoritaria, che non è nelle cose. E’ la riduzione della lotta politica in attività che si svolge usando l’arma della giustizia. Contano pochissimo le elezioni, contano niente le piazze, i conflitti sociali, tantomeno i partiti politici e i sindacati. Conta la mannaia giudiziaria. Che talvolta i leader politici immaginano di poter utilizzare e governare, usandola come uno strumento potente nelle proprie mani, e lo fanno commettendo un grande errore: assai raramente il potere giudiziario si lascia utilizzare, e se lo fa, molto presto presenta un conto salato. In Italia noi questo lo sappiamo benissimo, perché siamo dei precursori. La politica ha pensato di poter risolvere per via giudiziaria - chiamandosi fuori dal conflitto – prima la tragedia della lotta armata, poi la complicatissima questione della corruzione. E addirittura ha pensato di poter compiere queste operazioni utilizzandole per sbarazzarsi dei propri avversari, o comunque per indebolirli. Al tirar delle somme tutta la politica ci ha rimesso. Chi ha gioito per i colpi presi da un avversario presto è tornato a piangere per i colpi che si sono rivolti contro di lui. Finchè la politica si è trovata disarmata, nuda e priva di idee.
Prima ancora che in Italia questa operazione era stata sperimentata in America. La democrazia americana però è diversa, ha una forza maggiore, sa reagire. Nel 1974 negli Stati Uniti ci furono le prove generali. Quando il presidente repubblicano Richard Nixon fu rovesciato, per via giudiziaria, da un complotto dell’Fbi realizzato attraverso l’uso della stampa. Lo conoscete tutti quell’episodio: lo scandalo Watergate. Nixon fu costretto a dimettersi, dopo avere stravinto le elezioni del 1972 con quasi il 70 per cento dei consensi, contro George McGovern, candidato ultra liberal. I democratici cantarono vittoria, per il Watergate, ma invece fu la loro tomba. Furono spazzati via dalla politica americana per un ventennio, e i loro nemici repubblicani operarono una secca svolta a destra, cancellando le posizioni moderate di Eisenhower e Nixon e inaugurando il reaganismo, cioè la linea ultra- liberista. Nonostante la breve e immobile presidenza Carter, i democratici restarono a bordo campo fino al 1992, quando un giovanotto di nome Bill Clinton riprese in mano, pazientemente, il partito e ricominciò a tessere i fili della politica- politica. La destra cercò di fare con Clinton lo stesso gioco che i democratici avevano fatto con Nixon: la vendetta giudiziaria, l’impeachment. Prima per una vicenda finanziaria poi per una storia sessuale. Ma Clinton era forte: vinse lui. E da quel momento il potere giudiziario ha perduto quasi tutta la sua forza politica.
Da noi – da noi in Italia - non è stato così. La politica, squassata dalle inchieste e dal dilagare del giustizialismo nell’opinione pubblica, si è intimidita. Ha lasciato il campo.
In Spagna sarà come in Italia? È un grande rischio. Ci sono le forze per reagire, ma sono deboli. Sarebbe necessario che l’intellettualità europea si convincesse che lo Stato di diritto è il bene più prezioso. Lo stato di diritto: non le manette.