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L’intervento di Benedetto XVI sulla questione del celibato, con un saggio che verrà pubblicato in Francia, non può essere considerato un attacco al suo successore papa Francesco, perché la posizione di Ratzinger è fondata su convinzioni profonde, eticamente e culturalmente rispettabili.
Tuttavia, è impossibile negare che il pensiero di Benedetto XVI, nella sua veste di Papa dimissionario eppure ancora Papa emerito – si ponga in controtendenza rispetto alle proposte annunciate da papa Francesco in tema di celibato, seppure secondo una formula limitata ai diaconi al fine di sopperire alle crisi di vocazione.
Perché, nonostante il fatto che il celibato ecclesiastico non sia un dogma e sia stato introdotto nel corso della storia della Chiesa, Benedetto XVI con tutto il peso della sua autorità, anche teologica, decide di prendere la penna per affermare che “il futuro della Chiesa cattolica latina sarebbe compromesso se si toccasse il celibato sacerdotale, uno dei suoi pilastri”?
La sua tesi è che esisterebbe un legame ontologico- sacramentale tra sacerdozio e celibato.
Non essendo un teologo non ardisco mettere in discussione questa tesi da un punto di vista dottrinale. È poi così importante discuterla da un punto di vista così astratto, nell’ambito di principi che hanno un’indubbia valenza culturale, ma che non possono pretendere alcuna logicità e tantomeno scientificità.
Si tratta di un discorso essenzialmente morale, che riguarda la sfera pratica, esistenziale e spirituale.
La possibilità per i sacerdoti di avere una famiglia è diffusa in gran parte della cristianesimo, e nessuno può affermare che il celibato, mantenuto finora dalla Chiesa cattolica, abbia permesso una maggiore fecondità del sacerdozio.
Anzi, si può dire che in questi anni una serie di scandali, emersi all’interno della Chiesa, dal fenomeno della pedofilia a un’omosessualità dilagante quanto ripudiata, abbiano messo in luce l’intrinseca difficoltà del mantenimento del celibato.
Chi abbia potuto prendere conoscenza delle caratteristiche, ad esempio, di un pastore protestante, può apprezzare un modello di sacerdozio che ha il vantaggio di essere totalmente immerso nella vita sociale e comunitaria.
Lo stesso tono di voce di un pastore protestante è la voce di un uomo normale, non quel falsetto effeminato che ascoltiamo nelle nostre prediche domenicali.
Infine, chi abbia avuto la possibilità di ascoltare la lettura dei Vangeli in una Chiesa protestante americana, anche da parte di una donna, ha compreso la superiorità di un sacerdozio in cui ciò che conta è la testimonianza personale che, donna e uomini, offrono all’interno della propria comunità, per le loro qualità morali e culturali.
Il superamento del celibato sarebbe la più grande riforma interna della Chiesa cattolica, in grado di ridarle slancio spirituale e aderenza alla realtà.
Non solo il superamento del celibato ma anche la possibilità per le donne di ordinare i sacramenti e di celebrare la messa, fino a diventare vescovi e Papi, consentirebbe alla Chiesa di Roma di fare un balzo in avanti nella dimensione realtà, della verità e della spiritualità.
Ma forse i tempi della Chiesa cattolica non sono i tempi dell’uomo di oggi. E anche noi cristiani saremo costretti a rivolgersi ad altre fonti per avere delle risposte alle nostre stringenti domande esistenziali.