La funzione di Youtube è chiara a tutti: una piattaforma web che consente la condivisione e visualizzazione di contenuti multimediali. Capire le differenze tra gli altri due è decisamente meno intuitivo, soprattutto per i non addetti ai lavori.
Entrambi sono social network a scopo commerciale e di intrattenimento con alcune sostanziali differenze: numero di utenti, Facebook 34 milioni, Instagram 16; fasce d’età maggiormente rappresentate, Facebook 25- 45 anni, Instagram 18- 35; uso principale, Facebook da smartphone e pc, Instagram solo da smartphone; popolarità, Facebook in diminuzione, Instagram in esponenziale aumento; scopo principale, Facebook connettersi agli amici, Instagram connettersi ai profili che pubblicano foto e contenuti interessanti. I numeri di Instagram sono sconcertanti e in continua ascesa. Parliamo di 1.000 commenti al secondo e circa 1,2 miliardi di “cuoricini” al giorno. A livello globale il social ha già oltrepassato il miliardo di iscritti e l’Italia è uno dei Paesi dove si registra la crescita più forte. L’autenticità delle foto pubblicate, la varietà e originalità dei filtri a disposizione, la facilità di condivisione e la scarsa rilevanza del contenuto testuale sono gli elementi cardine che hanno contribuito a rendere Instagram il regno incontrastato degli influencer e delle loro Stories.
Ma chi sono gli influencer di cui tutti parlano?
Il termine proviene dall’ambito pubblicitario e indica tutte le persone determinanti nell’influenza dell’opinione pubblica. In altre parole, il target strategico verso cui indirizzare messaggi promozionali con lo scopo di propagarli a un numero sempre più vasto di consumatori e di orientarne le scelte durante le fasi decisionali di acquisto o di adesione ad un servizio. Un ruolo assolutamente cruciale, all’interno dei processi comunicativi aziendali, per pubblicizzare prodotti o brand attraverso questa nuova disciplina del marketing che ha saputo abbinare l’antico passaparola alla notorietà. Non a caso si parla sempre più diffusamente di influencer marketing, uno degli strumenti più potenti ed efficaci per raggiungere un pubblico globale attraverso la voce e l'immagine di persone considerate affidabili e autorevoli nei loro rispettivi settori.
Nel nostro Paese gli investimenti in influencer marketing sono cresciuti del 131% in poco meno di due anni e oltre il 70% delle imprese italiane ha fatto ricorso ad operazioni, ad esso legate, per un ammontare di oltre 50 milioni di euro. A livello mondiale si stima che il budget economico destinato dalle aziende a questo nuovo modo di comunicare supererà i 16 miliardi di dollari nel 2020. Siamo di fronte a una vera e propria esplosione di influencer, un continuo fiorire di testimonial digitali, una specie di virus globale che coinvolge tutti.
Il 70% degli utenti social in Italia ha, tra i propri interessi, quello di seguire influencer e celebrity considerandoli una vera fonte di ispirazione non solo nei comportamenti ma anche per gli acquisti. Un italiano su tre ammette di aver comprato più volte qualcosa che è stato promosso e consigliato dagli influencer e che le Instagram Stories rappresentano la vera attrattiva social dei tempi moderni. Più coinvolgenti e immediate del semplice post, esse permettono di seguire “da vicino” le persone, osservarle nei vari momenti della giornata e conoscerne gli aspetti più intimi e personali.
Per il terzo anno consecutivo, dallo studio su un campione rappresentativo circa il rapporto tra gli italiani e i social media, è emerso che la ragione principale che spinge ognuno a servirsi dei social è la curiosità. Lo sfrenato e incontenibile desiderio di sbirciare i contenuti altrui. Questa “febbre” collettiva è responsabile del rapido moltiplicarsi dei nuovi talenti di internet, meglio noti come i “like addicted”, persone che hanno sviluppato una forma di dipendenza psicologica dal numero dei like sotto ogni foto postata e che in base ai like ricevuti fanno misurare la loro popolarità e dunque il valore degli ingaggi da parte delle aziende.
Tutto questo fino alla piccola rivoluzione attuata da Mark Zuckerberg lo scorso mese di luglio. Dopo il Canada è partita anche in Italia la fase di test che nasconde il numero dei like agli utenti. Nessuno potrà più vedere la quantità di gradimento di ogni singolo post se non l’utente che lo ha pubblicato. Spariscono quindi i like da foto e video dei profili selezionati per il test.
Una novità apparentemente piccola ma, in realtà, una gigantesca rivoluzione per sottrazione. “Vogliamo che gli utenti si concentrino su ciò che viene condiviso e non sul numero dei mi piace che ottiene il post”, questa la motivazione dietro alla coraggiosa scelta del fondatore del social network. L’intento è lodevole. Sganciare la libertà di espressione dall’arido riscontro delle cifre e possibilmente ridurre il confronto con gli altri, spezzare il circolo vizioso dell’invidia e spingere ad una maggiore spontaneità indipendentemente dal successo dei contenuti pubblicati. Se ciò divenisse il nuovo standard dei social potrebbe modificare le abitudini degli utenti e anche cambiare le regole del gioco per chi ha fatto dei like il proprio business.
Un colpo basso agli influencer? Una lotta al consistente numero di like fake ( like fasulli)?
Qualunque sia l’obiettivo finale, può essere considerato solo un bene alleggerire dal peso dei feedback qualunque contenuto pubblicato. Nessuno, eccetto il proprietario dell’account, potrà più sapere se lo scatto del bacio con tramonto mozzafiato o la posa in bikini con effetti stellari siano stati poveri di consensi o, viceversa, clamorosi successi. Psicologicamente pare che l’esperimento funzioni. Il numero dei post è sensibilmente aumentato e la qualità, intesa come autenticità, altrettanto. Forse più che gli influencer, dovrebbe preoccupare la facilità con cui si è disposti a farsi influenzare.